È un reduce del Vietnam, il giovane Travis Bickler. La guerra gli ha insegnato tanto e gli ha tolto tante illusioni, ma non lo ha sconfitto del tutto. Nel suo sorriso c’è ancora speranza. E con il suo bel sorriso si presenta per chiedere un lavoro come tassista notturno, per cercare di avere la mente occupata durante le sue notti insonni.
Non ha paura di quello che lo aspetta. Crede che con la guerra abbia davvero visto tutto. Si sbaglierà di grosso.
E’ oscuro quello che è costretto a vedere, molto diverso dalle luci coloratissime delle insegne pubblicitarie che vi fanno da sfondo (in una contraddizione visiva tra le più belle e geniali della storia del cinema).
Fa vari incontri nel suo taxi il giovane reduce. Incontra un marito con istinti omicidi (Martin Scorsese), ma soprattutto incontra il senatore Palantine che sta lavorando alla sua campagna elettorale. L’incontro con il senatore è emblema del realismo-idealismo di Travis: “Questa città è una fogna, ma lei può ripulirla”. Sperare nella politica è la ragione che mantiene in vita tanta gente ad un passo dalla disperazione. Travis ci crede davvero, e questo lo mantiene sereno.
Non sappiamo quale istruzione Travis abbia ricevuto. Di sicuro, quando incontra la bella e sofisticata Betsy (Cybil Shepherd), il nostro non sfigura assolutamente. Il suo carisma naturale conquista subito il cuore della donna. Ma Travis pensa bene di rovinare tutto portandola in un cinema porno. Lei va via. È la prima pugnalata che riapre la sua ferita interiore, quella della guerra.
Ma non è finita qui. La sua anima idealista è costretta a vedere una giovane adolescente di tredici anni, Iris (Jodie Foster), che fa la vita, alle dipendenze del magnaccia Matthew (Harvey Keitel). L’idealista Travis deve cercare redimerla e la invita a parlare ad un tavolo – in una delle scene più tenere che il cinema ricordi. È un’altra pugnalata dentro la sua ferita che sta tornando a sanguinare.
Nel frattempo, Travis scopre quello che si nasconde dietro le belle parole del Senatore Palantine. Il fallimento con Betsy, l’infame sfruttamento di una ragazzina innocente, e la terribile ipocrisia della politica aprono definitivamente la sua ferita interiore. Il reduce ha perso la speranza, quella virtù che muore per ultima. Quando muore la speranza muore ogni principio che ci spinge ad agire bene. Ormai l’odio si è impossessato della mente e del cuore di Travis. E l’odio sarà il trampolino di lancio verso il suo delirio da giustiziere.
Alla follia omicida di Travis seguirà la follia (quasi comica) di New York che lo eleverà a eroe popolare, anche se lui sa di non essere tale e lo dirà all’unica donna a cui tiene davvero.
Molto più che un (originalissimo) film contro la Guerra del Vietnam e contro le contraddizioni dell’America, “Taxi Driver” è soprattutto un film sugli imprevedibili effetti disperanti della solitudine (rappresentata dalla celebre scena improvvisata da De Niro che parla allo specchio perché non ha altri con cui confidarsi); una solitudine (spirituale) che si impossessa di una persona profondamente buona ed idealista, segnata da una ferita terribile che, invece di rimarginarsi con i rapporti umani e con le persone giuste, si apre sempre di più a causa del contatto continuo con il lato più marcio della società in cui è costretto a vivere.
Impagabile la recitazione di De Niro (seconda scelta di Scorsese dopo il rifiuto di Dustin Hoffmann), nella più camaleontica performance della sua carriera: profondamente realista nel dire al senatore che la grande mela è una fogna, ma anche ingenuamente idealista nel creder che il senatore stesso possa trasformarla nel Giardino dell’Eden; intelligente gentleman nel parlare con la raffinata Betsy ma anche stupido e pervertito nel portarla nel cinema porno; santo nel tentare di convincere la piccola Iris a lasciare “la vita” e demonio nell’abbandonarsi ai suoi istinti omicidi. “A walking contradiction”, come recita un verso della canzone "The Pilgrim, Chapter 33" (citata da De Niro nell’incontro con Betsy) e che Scorsese scelse proprio perché descrivevano alla perfezione il carattere multiforme e contradditorio del protagonista.
Sul finale si è scritto molto. Per gran parte dei critici, il Travis che lascia Betsy dicendo: “Non sono un eroe” rappresenta un uomo finalmente sereno e libero dal suo passato, in omaggio al tema della redenzione così caro a Scorsese. E questa è la sostanza. Ma il regista italo-americano, nella bellissima intervista “Inside the Actor’s Studio”, ha voluto dare una chiave di lettura più complessa e realistica: “E’ vero, il finale di “Taxi Driver” è una Domenica di Pasqua, e non un Venerdì Santo come molti altri miei film. Ma anche se l’uomo che lascia Betsy è davvero salvo, con quel doppio sguardo allo specchietto retrovisore mostra di non essere salvo una volta per tutte, ma lascia aperta la possibilità di tornare quello di prima”. “Travis è una bomba a tempo” (una bella e profonda espressione dello stesso Scorsese); starà a Travis stesso non brillare di nuovo. “Nessuno è confermato in grazia” – insegna la teologia cattolica che Scorsese ha studiato e meditato sin dai suoi anni giovanili in seminario – ed è questa semplice e profonda verità che il regista ha voluto mettere come sigillo finale del suo più grande capolavoro.
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