"Taxi Driver è stata la mia prima sceneggiatura [...] e l'ho scritto come auto-terapia perché ero davvero in un momento buio della mia vita, bevevo e guidavo, non avevo un posto dove vivere e tenevo una pistola in macchina".(Paul Schrader)

Opera seminale, tra le più importanti della storia del cinema, monolite della New Hollywood (tanto da segnarne un prima e un dopo), "Taxi Driver" fece di Scorsese un regista di fama mondiale (benchè avesse alle spalle già un signor film, "Alice non abita più qui") e di De Niro una star di primo livello, nonostante, anche lui, avesse un Oscar alle spalle ("Il padrino - Parte II") e qualche successo di cassetta.

A metà degli anni '70 il pubblico chiedeva al cinema di raccontare la verità, fosse anche sgradevole e putrefatta, stanco da tempo di musical colorati, buoni sentimenti ed happy end a tutti i costi. Il primo film americano che penetrò nelle periferie e raccontò il mondo del proletariato, a volte sottoproletariato, newyorkese fu, vent'anni prima, "Marty - Vita di un timido", ma il tono era quello della commedia e di un ottimismo alla Frank Capra già piuttosto vetusto. La New Hollywood (che annoverava tra i suoi, involontari, fondatori Steven Spielberg, Francis Ford Coppola, Woody Allen, Sidney Pollack, John Milius, Brian De Palma, solo per fare qualche nome), come il neorealismo trent'anni prima, voleva sporcarsi le mani raccontando, senza fronzoli, la realtà. Ma, certo, il neorealismo raccontava un Italia povera e distrutta dalla fame del dopoguerra, la New Hollywood raccontava un America violenta, rancorosa, tradita dal Sogno Americano ormai divenuto Incubo, incapace di sognare e divisa da una differenza di classi sociali quasi apocalittica, in cui i bassifondi della società erano veramente bassifondi, mentre l'upper class viaggiava serena, senza comprenderne le conseguenze, nei ruggenti, e "plasticosi", anni Ottanta (quelli della "Wall Street" firmata Oliver Stone, 1987).

Scorsese legge la sceneggiatura di Schrader e ne rimane folgorato. Nel raccontare le vicende di Travis Bickle, che ha combattuto in Vietnam, ne ha viste troppe e non riesce più a dormire, il regista racconta un pezzo d'America che le grandi case di produzione avrebbero volentieri scansato (come le case discografiche avrebbero, all'epoca, scansato volentieri la rabbia punk, ma il movimento giovanile sobolliva e non si poteva certo ignorarlo). La New York notturna vista dallo specchietto retrovisore del taxi di Bickle è spettrale e allo stesso tempo anonima. Papponi, prostitute, assassini, sbandati, si aggirano come fantasmi nel buio dell'indifferenza, ognuno senza più futuro, ammesso di averlo mai avuto, e ognuno con un proprio fardello di lacerante disperazione (si veda la figura di Harvey Keitel, magnaccia che nasconde i propri sentimenti quasi con forza autodistruttiva), laddove chiedere prestazioni sessuali a una minorenne sembra, forse, l'unica salvezza (l'esordio di Jodie Foster, fulminante).

Il regista muove la macchina da presa quasi senza fretta, vuole seguire i suoi personaggi ma, a volte, ci fa capire che nemmeno lui (e dunque noi, vecchia tecnica vouyeristica assimilata da Hitchcock) possiamo andare oltre, e saperne di più, come nella scena in cui Brickle è al telefono, la macchina da presa si sposta verso un corridoio vuoto come se dovesse accadere qualcosa da un momento all'altro e invece nulla succede, era solo pudore, riservatezza.

Il discorso si fa, ovviamente, politico. Brickle vuole sistemare le brutture newyorkesi con la forza, e si fa giustiziere della notte. Vuole ammazzare un politico e, taglio da mohicano, ci prova pure. Certo, se i produttori cinematografici volevano scansare il ritratto della violenza urbana americana anche la politica a stelle e striscie, che usciva malconcia dallo scandalo Watergate, il sottobosco della giungla metropolitana avrebbe voluto evitarsela, ma, si sa, i voti bisogna prenderli anche da lì. Pero', è un mondo cattivo, e non c'è posto per la speranza dell'amore, figuriamoci per quella politica.

Atmosfere jazz, luci al neon, finale sanguinosissimo, e violentissimo, da urlo, ultima colonna sonora dell'hitchcockiano (vedi sopra) Bernard Herrmann, "Taxi Driver" segnò molti punti a favore di un cinema totalmente rinnovato e a suo modo sconvolgente, tanto da creare dibattiti interni ed esterni (in Italia fu record d'incassi, e provocò la reazione sdegnata di un pubblico borghese che non accettava la violenza così esasperata, ma necessaria, al cinema) e consegnò a Scorsese la Palma d'oro a Cannes (agli Oscar nulla) e un posto d'onore nella storia del cinema. Come, d'altronde, il famoso "parli con me?", improvvisato al momento da uno strepitoso Robert De Niro.

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