Recensire i Massive Attack è diventata un’impresa difficile, paragonabile a un vero e proprio evento. Certo, il gruppo di Bristol non si è mai distinto per la grande prolificità, tuttavia, dopo Mezzanine, i tempi di attesa per le nuove uscite si sono allungati, fino a divenire estremamente dilatati. Ciò ha avuto delle ripercussioni sulla musica, che in 100th Window e nel successivo Heligoland si è fatta più evanescente, fantasmatica. Impalpabile, per alcuni critici.

Non devono dunque stupire i sei anni trascorsi tra l’ultimo lavoro e questo Ritual Spirit, pubblicato nel 2016. Ritual Spirit non è un album, bensì un EP di quattro tracce, lungo diciassette minuti. Questo aspetto è importante e influisce senza dubbio sulla nostra valutazione. Ascoltandolo siamo infatti turbati da alcuni pensieri, che possiamo sintetizzare in questo modo. In primis proviamo un senso di delusione, perché dopo sei anni è giusto aspettarsi del materiale quantitativamente superiore alle quattro tracce in questione. E poi arrivano le domande: qual è l’effettivo valore dell’EP e che senso ha, oggi, un nuovo disco dei Massive Attack? Sgomberiamo il campo dai dubbi: il trio (o ex trio, poi progetto solista e ora duo) non può più stravolgere l’elettronica contemporanea. Questo è avvenuto negli anni Novanta, soprattutto con Mezzanine, e forse non avverrà in futuro. Può accadere però dell’altro: che Del Naja e soci decidano di aggiornare il sound, appropriandosi degli elementi della “dubstep era” e rendendoli in qualche modo personali. Ed è quello che succede in Ritual Spirit, un lavoro dove il trip-hop è presente solo in “Take It There” e quasi del tutto assente altrove.

In ogni pezzo c’è un featuring prestigioso, che impreziosisce le già ottime produzioni. Si comincia con la voce di Roots Manuva, che regala le sue rime all’oscura “Dead Editors”, brano dal sapore garage/2-step che mette subito le cose in chiaro: qui si scava nel profondo, regalando visioni, flash, poesia su ritmi sincopati (“Conveying my/My swaying tie/Conveying my/That’s way inside”, afferma il rapper, come in un lamento). Nella title-track ci perdiamo tra bassi sintetici, broken beat e clap intriganti, accompagnati dalla voce di Azekel e da un video conturbante, dove Kate Moss si muove sinuosa, ondeggiando delle lampadine che squarciano il buio (dell’anima? Chi può dirlo). Segue “Voodoo Blood”, che si distingue per le salmodie degli Young Fathers (“Momma, stop giving me grief/Why does the blood always stick to your teeth?”) e un video inquietante, in cui Rosamund Pike viene posseduta da una misteriosa sfera metallica (un omaggio a Possession di Andrzej Żuławski). Chiude il tutto “Take It There”, blues arrochito da troppe sigarette in cui 3D e Tricky ci portano per mano nell’inferno di un junkie (“Where I’ve been it’s heavy, though”, ci ricorda Tricky, e forse dobbiamo credergli).

Ritual Spirit termina così, all’improvviso, e noi restiamo un po’ inebetiti, con l’amaro in bocca e la voglia di riascoltarlo più volte. E se le attese per un nuovo album sono state tradite, poco importa: siamo di fronte ai migliori Massive Attack dai tempi di Mezzanine, un gruppo rivitalizzato, che ha trovato finalmente l’equilibrio ed è tornato a produrre musica di gran classe.

Sarà anche poco, ma per ora può bastare.

Voto: 4,5

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