Dopo tre mesi mi sento finalmente in grado di scrivere una recensione su questo disco.

È lecito affermare che i Mastodon sono la band metal che, nel nuovo millennio, più di ogni altra è riuscita nell’impresa di coniugare il successo commerciale con il plauso unanime della critica, sia da parte della vecchia guardia di metallari che dalle nuove generazioni, riuscendo spesso a intrigare anche chi non è appassionato di musica estrema e a creare in pochissimi anni degli emuli che sono riusciti a loro volta a sfornare materiale di altissimo livello, basti pensare ai Baroness o ai Black Tusk.

La parabola compositiva dei Mastodon non è altro che lo specchio delle loro influenze: da un esordio violento e brutale (“Remission”), debitore di band come Neurosis e High On Fire, verso concept album che guardavano sempre di più verso il prog anni 70’, ancorandosi comunque a possenti sonorità sludge metal, parliamo dei capolavori “Leviathan” e “Blood Mountain”. L’ottimo “Crack The Skye” fondeva lo sludge e il progressive con delle melodie fino allora inedite, e la mossa conseguente è stata lo spostamento verso lidi più hard rock con “The Hunter”, accolto con rimostranze dai fan della prima ora e assunto a vera e propria pietra dello scandalo da chi non vedeva l’ora di trovare un punto debole in una discografia che, fino ad allora, sembrava perfetta. Gli anni hanno dato ragione al combo di Atlanta e “The Hunter” e il successivo “One More Round The Sun”, che recuperava parzialmente l’aggressività passata, si sono rivelati all’altezza degli episodi precedenti. Tutti questi lavori erano e sono un concentrato originale e inedito di primitiva aggressività e melodie trascinanti, asservite da una tecnica eccellente che non sfocia mai nel solipsismo e nell’ampollosità.

Questo nuovo “Emperor Of Sand” continua quanto i due capitoli precedenti avevano iniziato, con buona pace dei detrattori e di chi li accusa di essersi venduti, ritornando però alla forma di concept album: i testi infatti ruotano intorno alla storia di un condannato a morte che vaga nel deserto e dei suoi pensieri relativi al suo destino e alla sua condizione. In realtà questa è un’elaborata metafore, infatti l’ispirazione viene dalla scomparsa di persone molto vicine alla band a causa del cancro. La morte e il pensiero sul tempo che rimane sono quindi i temi principali dei testi, come lo stesso Brann Dailor ha rivelato:

“Alla fine della storia, il protagonista muore e allo stesso tempo viene salvato. È basato sul cancro, sulla chemioterapia e su tutto quello che ne è associato. Non volevo essere così letterale, ma è tutto lì dentro, puoi leggerlo fra le linee.”

Ma al contrario del contenuto cupo delle lyrics, musicalmente “Emperor Of Sand” è forse l’album più catchy dei Mastodon, come hanno dimostrato i tre singoli che l’hanno preceduto, il primo è “Sultan’s Curse”, classica cavalcata in stile Mastodon che prende il posto che in “Once More ‘Round The Sun” era della stupenda “Tread Lightly” , risultando leggermente sconfitta nel confronto con quest’ultima ma rimanendo comunque un’ottima e coinvolgente opener. Presentissime le proverbiali armonie vocali, forse ispirate al Seattle Sound, impressione avvalsa dall’uso delle voce da parte del chitarrista Brent Hinds, chiaramente debitore dei compianti maestri Layne Staley e Chris Cornell. L’atmosfera cupa, i riff massicci e mai troppo tecnici e lo armonie vocali soffuse e malate confermano l’influenza di quanto fatto da band grunge come gli Alice In Chains e Soundgarden, o dallo stoner rock moderno dei Queens Of The Stone Age. Non sembra essere un caso la presenza di Brendan O’Brien, già produttore, fra gli altri, di Pearl Jam, Stone Temple Pilots e i già citati Soundgarden.

Il secondo singolo è anche il più discusso, ovvero “Show Yourself”, brano hard rock radiofonico sulla scia di “The Motherload” e “Curl Of The Burl” dei due album precedenti, che purtroppo manca della tradizionale carica aggressiva del gruppo, e per questo risulta a conti fatti il tallone d’Achille dell’album, pur essendo molto godibile, grazie soprattutto all’ottima prova vocale di Dailor. “Precious Stones” si adagia su un ritornello meno avvincente dei due precedenti ma si risolleva grazie ad un crescendo coinvolgente e ad un assolo di chitarra finale che dimostrano tutta l’esperienza accumulata dai Mastodon in questi 17 anni di attività. A questo punto dell’ascolto è chiaro che siamo di fronte ad un lavoro ottimamente prodotto e forte di un songwriting stellare ma che manca dell’urgenza espressiva e della profondità dei primi album, se tracce come “I Am Ahab”, “Hearts Alive” o “Ghost Of Karelia” lasciavano l’ascoltatore distrutto e allo stesso tempo impaziente di sentire cosa ci sarebbe stato dopo, “Show Yourself” e “Steambreather” intrattengono ma non riescono ad esaltare, anche se sono presenti accorgimenti e dettagli geniali la forma canzone tradizionale sembra limitare la fantasia dei Mastodon. Fantasmi della creatività passata si rivedono nei sei minuti e mezzo di “Roots Remain” dove il fantastico guitarwork di Brett Hinds e Bill Kelliher fa da padrone, con un susseguirsi di riff stoner e assoli di sapore psichedelico e “Scorpion Breath”, impreziosita dalla presenza del cantante dei maestri Neurosis Scott Kelly (collaboratore della band dai tempi di “Blood Mountain”) e che in tre minuti scarsi è l’unico episodio puramente sludge dell’album e sicuramente uno degli episodi migliori. Se “Word To the Wise” e “Ancient Kingdom” mancano di poco il bersaglio e hanno il retrogusto di filler, la fantastica parte centrale di “Clandestiny” è uno squarcio verso il passato e verso le atmosfere di “Leviathan”, così come la conclusiva “Jaguar God” che, con i suoi otto minuti e con la partecipazione del cantautore Mike Keneally, risulta essere l’episodio migliore e forse l’unico in cui la band sembra capace di liberarsi da queste nuove voglie radiofoniche e si lascia andare prima ad atmosfere malinconiche e compassate e poi sempre più ad un’improvvisazione sfrenata, cambi di tempo, assoli imprevedibili e vocals sfrenate.

In conclusione, “Emperor Of Sand” è forse l’album meno riuscito dei Mastodon, ma l’album meno riuscito dei Mastodon è comunque uno degli album metal migliori dell’anno, perché questi quattro signori di Atlanta sono impossibilitati a fare qualcosa meno che ottimo, ma proprio per questo “Emperor Of Sand” non può meritarsi un voto alto, data la loro discografia passata e l’altissima asticella che hanno posto sia per loro che per tutti gruppi di metal moderno, quest’ultima prova non è che poco più del minimo sindacale.

3,5 per difetto.

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