“Little red record” è il secondo ed ultimo lavoro di studio dei Matching Mole, gruppo fondato nel 1971 dall’illustre musicista e compositore Robert Wyatt in seguito alla sua fuoriuscita dalla storica band dei Soft Machine. Ad accompagnare il re di Canterbury in questa nuova avventura vi erano il chitarrista Phil Miller (già nei Delivery e nei Caravan di “Waterloo Lily”), il bassista Bill Mac Cormick (già nei Quiet Sun) e i tastieristi Dave McRae (già nei Nucleus di “Belladonna”) e David Sinclair (già nei Caravan e sul primo solista di Wyatt, “The end of an ear”); quest’ultimo abbandonò i quattro dopo il primo disco omonimo, per entrare nella band del cugino Richard, gli Hatfield and the North.

“Little Red record” inoltre si avvale nientemeno che della collaborazione di Brian Eno ai sintetizzatori e di Robert Fripp alla produzione.

Come si può vedere dalla copertina, le intenzioni politiche di Wyatt e soci non sono poi così celate: i quattro in posa belligerante con un mitra rivolto verso Est, che puntano alla liberazione di Taiwan nel nome di Mao e del socialismo; nelle liriche, tutte di sua penna, Wyatt avrà modo di chiarire le sue forti posizioni sul tema. Curiosamente, però, non è autore di nessuna delle composizioni nel disco, compito che spettò per lo più a McRae; Wyatt invece si dedicò a un ricercato studio sull’uso della voce.

La mano di Fripp è evidente, nel bene e nel male; se da un lato aveva aperto al gruppo nuovi orizzonti verso contaminazioni jazz-elettroniche, già sperimentate in alcuni brani dei King Crimson, dall’altro la sua personalità così forte, così carismatica, finì quasi con l’intimorire Phil Miller, che da Fripp si vide escludere alcune sue idee già apprezzate invece dalla band.

Il brano d’apertura, “Starting in the Middle of the Day, We Can Drink Our Politics Away”, è un breve madrigale liturgico di sillabe (quelle del titolo) ripetute sulla stessa tessitura pianistica; i successivi quattro brani messi insieme vanno a formare una vera e propria suite: dagli 8 minuti dadaisti di “Marchides”, con intermezzo chitarristico distorto e visionario, nei quali prevale quell’abstract tipico del sound dei Soft Machine, si passa al dirompente lavoro di batteria in “Nan true’s hole”, stagliato tra tastiere evanescenti, parlato femminile e coretto sommesso. “Righteous Rumba” è un breve ponte per voci alternate,accompagnato jazz e droni chitarristici nel finale, e va a convogliare nel più puro Canterbury sound delle trame d’organo e dei riff chitarristici di “Brandy as in Benj”.

Gloria Gloom”, aperta e chiusa dalle visioni spaziali dei sintetizzatori di Eno, consiste in più conversazioni sovrapposte su una poderosa sezione ritmica, il tutto dominato dagli svolazzi canori di Wyatt, che continua con un lavoro vocale meno sperimentale ma più coinvolgente sulla successiva “God Song”, morbida ballata per basso e chitarra acustica. Con “Flora Fidgit” ci si riavvicina al quel sound tipico di una jam dei Soft Machine, mentre la conclusiva “Smoke Signal” è costruita su un tema di McRae, intervallato dalle atmosfere elettroniche di Eno prima del finale free.

Un disco consigliatissimo, e non solo agli appassionati del genere, se non altro per la presenza della triade Fripp, Eno e Wyatt, il clou della Musica.

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