'Proyecto Lazaro' è un film così difficile e doloroso da raccontare che francamente non saprei neppure da dove cominciare.

Come molte altre volte, come molte altre volte che scrivo e forse anche più specificamente di altro, penso che forse il punto di partenza possa essere quelle che sono delle mie esperienze di vita e percezioni personali.

Cercherò naturalmente di non essere egocentrico e rivolgere i contenuti della recensione su me stesso ma di essere io stesso in qualche maniera una specie di 'strumento' per potere raccontare la storia e i contenuti di questo film del regista spagnolo Mateo Gil (classe 1974) e uscito lo scorso anno 2016.

Del resto francamente non mi propongo mai di raccontare qualche cosa senza esprimere quello che è il mio punto di vista: non sono un cronista e in fondo anche chi scrive la 'cronaca' di qualche cosa in qualche modo pure senza volerlo, esprime il suo punto di vista. Il suo giudizio personale su qualche questione.

Io sono sempre stato ossessionato dalla 'fine'.

Mi spiego: questo non significa specificamente che io voglia morire.

Probabilmente per la verità non sono neppure così tanto attaccato alla vita. Se devo essere sincero, se avessi potuto decidere liberamente, forse avrei deciso di non essere mai nato e se potessi decidere di morire senza nessuna sofferenza e senza controindicazioni, e mi riferisco qui alle implicazioni relative la sofferenza dei miei familiari (a proposito, spero che mia madre non leggerà mai queste righe), lo farei.

Accetterei questa condizione senza nessuna costrizione particolare, forse qualche rimpianto per quello che avrei voluto fare ma non sono riuscito e non riesco a fare, ma dopo tutta questa 'stanchezza', sottoscriverei questa specie di patto con il diavolo.

Ho un equilibrio particolarmente fragile e per difendermi ho regolato la mia esistenza secondo degli schemi ossessivo-compulsivi che sono come una specie di 'orologio svizzero' ad alta precisione e che quando non vengono seguiti in maniera specifica, praticamente 'perfetta', mi vedono smettere di camminare sul famoso filo del rasodio e cadere da una parte oppure dall'altra.

Ho provato a uccidermi.

È successo più di una volta

Ogni volta alla base non c'erano ragioni specifiche: ma sono sempre stato in qualche maniera insoddisfatto.

Questo non riguarda le persone che mi circondano, non riguarda particolari scopi e obiettivi specifici: è come se io fossi alla ricerca di tutte le risposte. Ma nessuno può avere una risposta a tutte le cose e determinate cose non possono essere spiegate: perché non hanno nessuna spiegazione.

Questa riduzione di tutte le cose a una 'razionalizzazione' forzata segue ovviamente quella schematizzazione cui ho già accennato. Possiamo cogliere in questo una specie di insicurezza, che non nego di certo e che assieme a tutte le altre cose comporta non tanto un rifiuto alla vita, quanto una vera e propria difficoltà oggettiva.

Io non so vivere.

Non so godere delle tante bellezze della vita (e certo che ce ne sono) e neppure quanto queste quelle poche e difficili volte mi si offrono in qualche modo e possono essere raggiunte.

In questi casi commetto comunque qualche atto che alla fine mi porta a sabotare tutto e ritornare alla posizione di partenza.

Oppure peggio: a toccare il fondo.

E - badate bene - se ricercate continuamente di toccare il fondo, questo si abbassa sempre di più. Voi scavate, scavate, scavate e a un certo punto vi ritrovate a testa in giù dall'altra parte del mondo. Che credo corrisponda nel mio caso specifico a qualche punto imprecisato nel mezzo dell'Oceano Pacifico.

A questo punto non credo francamente di avere più paura di morire: ho sicuramente più paura di vivere la mia vita e anche per questa ragione probabilmente sono molto spesso (quasi sempre) da solo. Perché così abbasso ogni possibile 'intensità' e le mie spinte si riducono a un livello che generalmente in questa maniera posso controllare.

Io penso che questa lunga introduzione, per quanto apparentemente non collegata con i contenuti del film, sia invece molto importante per cercare di capire quello che scriverò di seguito nel raccontarne la storia e i contenuti e in particolare per descrivere determinati aspetti del personaggio così come li ho visti e percepiti io.

'Proyecto Lazaro' oppure 'Realive' è una produzione congiunta tra Belgio, Francia, Spagna e un film di fantascienza che ha come soggetto principale un ragazzo, un giovane pubblicitario di nome Marc Jarvis (Tom Hughes) che ha all'incirca la mia età (io ho trentatré anni) e che scopre di essere malato terminale di cancro.

Praticamente gli resta solo un anno al massimo da vivere prima che la situazione precipiti del tutto e che il suo organismo cominci a degenerare fino alla morte sicura e inevitabile, nonostante qualsiasi cura.

Il ragazzo prende atto della situazione e compie e racconta in una maniera quasi schematica tutto quello che una persona che sta per morire deve fare prima di potere lasciare questo mondo: come regolare i rapporti con i suoi familiari, con gli amici, con il lavoro...

Nel frattempo però gli succede qualche cosa di speciale o comunque di inedito per quello che riguarda il resto della sua esistenza: per la prima volta nella sua vita comincia veramente a vivere e più specificamente, ma questo particolare viene usato in maniera specifica per rappresentare quello che è nelle intenzioni del regista (che è peraltro anche autore dello stesso soggetto del film), instaura finalmente una relazione stabile con Naomi (Oona Chaplin, la figlia di Geraldine), la ragazza che ha sempre amato e che decide di restargli accanto fino alla fine dei suoi giorni.

Le cose nella sua relazione con Naomi tuttavia cambiano il giorno in cui, raccolte informazioni su un progetto sperimentale nel settore della medicina e che prevede la criogenizzazione di persone che sono praticamente in punto di morte per poi riportarle in vita in un futuro imprecisato e in cui ci saranno le tecnologie necessarie per farlo e per curare le cause che le hanno portate alla morte, Marc annuncia ufficialmente ai suoi amici di volere anticipare la sua morte (per meglio preservare il suo corpo una volta attivato il processo di criogenizzazione) e avere la possibilità in futuro di ritornare alla vita e vivere il resto della sua esistenza.

La notizia viene accolta favorevolmente dai suoi amici ma in maniera brusca da Naomi, che si sente in qualche maniera 'tradita' e che sento tradito soprattutto il legame speciale che si è venuto finalmente a costruire tra lui e Marc: come se questo gesto creasse tra di loro una barriera (non solo temporale) invalicabile.

Ciononostante, dopo una prima fase di abbandono, decide di restare a suo fianco fino all'ultimo momento, quando Marc ingerirà un veleno e si suiciderà, prima di essere sottoposto al processo di ibernazione.

Anno 2084: Marc diventa (dopo tutta una serie di clamorosi e dolorosi fallimenti) il primo soggetto a essere 'resuscitato' secondo le procedure previste dai responsabili medici del 'Progetto Lazzaro'.

Il suo corpo viene letteralmente 'scongelato' e successivamente ricostruito secondo moderne tecnologie.

Comincia così un processo di riabilitazione il cui scopo finale non è solo quello di restituire a Marc la vita, ma quello finale e definitivo di regalargli una nuova esistenza: la sua 'rinascita' deve essere intesa come qualche cosa di completamente nuovo e che non abbia nulla a che fare con la sua esistenza passata.

Eppure, sin dal suo risveglio e nonostante una certa attrazione e un rapporto importante che egli instaura con la sua 'infermiera personale', la Dottoressa Elizabeth (Charlotte Le Bon), Marc è in qualche maniera sempre immerso nei ricordi del suo passato: un processo peraltro incentivato da percezioni sensoriali alterate dall'utilizzo di un moderno strumento tecnologico, un visore denominato 'Mind Control' che recupera letteralmente tutte le immagini possibili dalla memoria di un soggetto per immagazinarle in una specie di archivio telematico che può essere condiviso come una specie di 'social'.

Quando Marc apprenderà che anche Naomi si è sottoposta, anni dopo la sua morte, al processo di criogenizzazione, appare evidente che il suo processo di 'ritorno alla vita' è in qualche maniera compromesso e dentro di Marc (in una alternanza continua all'interno del film tra scene relative al presente anno 2084 e alla sua vita passata) aumentano le domande e le perplessità.

Finché egli non raggiunge quelle che possiamo ritenere le sue considerazioni finali.

Il momento migliore della sua esistenza sono stati effettivamente quegli ultimi mesi della sua vita e nei quali aveva programmato e deciso la data della sua morte: è stato infatti solo allora che egli ha sentito in qualche modo di avere il controllo sulla sua vita, che sapeva che cosa doveva fare e tutto quello che veramente voleva alla fine era effettivamente morire.

In fondo non aveva mai veramente voluto rinascere: voleva solo decidere lui quando e come morire.

Senza continuare a raccontare la trama e ogni aspetto del film, che secondo me nasconde e evidenzia in ogni singola scena particolari che possono essere spunto di riflessioni più o meno importanti, è evidente che il film affronta diverse tematiche che sono fondamentali e centrali anche nel dibattito quotidiano della società del nostro tempo.

A partire principalmente da quello che possiamo definire come 'male di vivere' e che costituisce uno dei grandi tabù storici dell'umanità e di cui è sempre così difficile e 'vergognoso' parlare.

Secondariamente il tema collettivo dell'eutanasia: qualche cosa che fa parte del dibattito sociale, culturale e politico in maniera sempre più forte da almeno dieci-quindici anni. Vado indietro nel tempo alle vicende, quelle che furono le più discusse che io ricordi, di Piergiorgio Welby, deceduto il 20 dicembre 2006 a Roma secondo la sua volontà, quando è stato sedato e gli è stato staccato il respiratore dopo un lungo ricovero durato circa dieci anni.

Nell'occasione il dottor Mario Riccio, anestesista, confermò durante una conferenza stampa tenutasi il giorno successivo di averlo aiutato a morire.

Sottoposto al giudizio de l'Ordine dei medici, al dottor Riccio fu successivamente riconosciuto di avere agito nella piena legittimità del comportamento etico e professionale, ma nei fatti la questione nel suo complessso relativamente l'eutanasia resta in Italia un tema irrisolto.

Ma è un tema che evidentemente necessita ancora oggi di essere dibattuto: lo richiedono urgenti fatti di cronaca quotidiana.

Relativamente quelle che possono essere le modalità e i regolamenti anche ci troviamo di fronte a quelli che possono essere dilemmi di natura etica e/o morale (in alcuni casi: religiosa). In Belgio in alcuni casi è stato riconosciuto il diritto a l'eutanasia anche a soggetti che soffrivano di depressione. Non conosco le modalità nel dettaglio e non starò qui a sindacare su che cosa sia giusto o sbagliato.

Anche perché secondo me non c'è un confine così netto tra quello che è giusto e quello che è sbagliato e questa è una di quelle cose a cui non è possibile dare un significato esatto, così come non è possibile dare un significato esatto alla vita e alla morte.

Il film compie nel corso dello scorrere del tempo in avanti nel futuro un processo di ricerca di questi significati, ma allo stesso tempo non si sbilancia e non si propone di dare risposte nette, nella consapevolezza che non esistano verità assolute e che comunque possano esaurirsi nel tempo e nei contenuti di una produzione cinematografica.

In definitiva, di che cosa parliamo quando parliamo di 'Proyecto Lazaro'?

Il film non è un inno alla vita ma neppure un invito al suicidio.

È la storia di una persona che scopre di stare male solo quando sta - secondo quella che è una diagnosi medica conclamata - '''VERAMENTE''' male e che, nel mezzo tra una vita che egli vorrebbe vivere o avere vissuto e l'impossibilità di continuare a viverla e le occasioni passate perdute, non riesce a trovare se stesso e allora sceglie di non scegliere: una via facile che nella realtà di oggi non ci viene data causa sviluppi mancati nel campo della scienza medica (che pure costituisce un altro tema da dibattere nella specie, facendo riferimento alle sperimentazioni fallite e in maniera dolorosa e traumatica per i pazienti che non sono riusciti a ritornare alla vita: un tema etico che - perché no - rilancia gli stessi temi di discussione che sono stati dibattuti nel corso del secolo scorso pensando alle modalità di cura ad esempio nelle cliniche psichiatriche, quelli che una volta chiamavano manicomi...).

Il film racconta quella che è una voglia di vivere che però è potenzialmente inespressa: come se uno volesse fare qualche cosa, ma non riuscisse effettivamente a capire come si fa.

Del resto non puoi far volare un aereo se non hai le istruzioni.

Non puoi guidare un automobile se non sai come si mette in moto.

Non puoi neppure camminare sulle tue gambe finché sei solo un neonato e non riesci ancora a stare in piedi.

'Proyecto Lazaro' è un film che può fare male come un pugno nello stomaco, eppure allo stesso tempo è forse il migliore film di fantascienza io possa suggerirvi di vedere in questo momento.

Guardatelo pure da soli ma ancora meglio in compagnia di qualcuno che vi vuole bene: stringete questa persona, abbracciatela. Tenetevela stretta. Ricordate Dan Aykroyd in 'The Blues Brothers'? 'Everybody Need Somebody'. Probabilmente la grande lezione che potrete trarre dalla visione di questo film è proprio questa, perché il resto sono considerazioni destinate a restare irrisolte, costituiscono argomentazioni relative il grande mistero della vita e della morte e in fondo anche l'amore è un grande mistero ma forse questo non impone scelte che siano così radicali e nette come quelle di passare quel baratro che divide una esistenza dalla sua fine.

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