Il modo migliore per iniziare il mio Anno Recensorio 2016? L'idea è sempre la stessa, cercare di stupire, proporre qualcosa di inaspettato. Vi porterò in una terra lontanissima, un luogo quasi incontaminato, fuori dal tempo. Mai sentito parlare dello Yukon? Trattasi di una remota regione all'estremo nord-ovest del Canada, al confine con l'Alaska; un'area poco più piccola della Spagna, popolata da appena trentacinquemila persone, di cui due terzi abbondanti concentrati nella sola cittadina di Whitehorse, capitale di questo territorio. Per il resto, lo Yukon è terra di foreste, montagne, tundra, laghi e fiumi, tra cui anche il celebre Klondike, la cui valle è nell'immaginario colletivo sinonimo di Eldorado. Ma non sono qui per parlarVi di geografia nè di storia, quindi cominciamo col dire che Matthew Lien non è originario di questa terra; in effetti è nato a San Diego, praticamente l'opposto polare in termini climatici e culturali, ma ormai è, da vent'anni circa, il più famoso ambasciatore musicale dello Yukon; esattamente dal 1995, anno di uscita di "Bleeding Wolves", il suo primo e più rappresentativo album.

C'è poi un altro particolare quantomeno curioso: "Bleeding Wolves" ha ottenuto un successo clamoroso, ma clamoroso sul serio, nell'ordine dei milioni di copie vendute e dischi di platino multipli nientemeno che... nella Repubblica di Cina, comunemente nota come Taiwan. Strano, vero? Molto meno di quanto possa sembrare, secondo me: una proposta musicale come quella di Matthew Lien, che rievoca scenari di natura incontaminata, pace e serenità non può che affascinare, anche per motivi culturali, gli abitanti di uno stato iper-industrializzato, urbanizzato e frenetico come Taiwan; la Wind Music, etichetta locale specializzata in musica tradizionale cinese, lo ha evidentemente intuito, e l'investimento è stato abbondantemente ripagato. Altra peculiarità, questo è un album quasi interamente strumentale, solo due episodi cantati su dieci, e la proposta è un amalgama tra un folk classico, con influenze irish-scottish, e sonorità più orchestrali e scenografiche, in perfetto stile OST. La strumentazione utilizzata è abbastanza varia, così come le sonorità proposte; il ricorso all'elettronica è molto limitato, "Bleeding Wolves" è un trionfo e una celebrazione della natura, scelta logica, quindi. Relativa brevità, atmosfere variegate, ora maestose, ora più delicate e riflessive, e soprattutto melodie stupende, tutti elementi che fanno di quest'album un'ascolto molto coinvolgente e senza "tempi morti", perfetto anche per chi, come il sottoscritto, non ha particolare dimestrichezza con gli strumentali.

Con musica di questo tipo, la cosa più naturale ed immediata che si possa fare è associare delle immagini per ogni brano; ad esempio "Flying Squirrel Creek", epica cavalcata per flauto e uilean pipes sostenuta da archi e percussioni tambureggianti, rievoca immediatamente il volo di un'aquila, tra vette e pendii scoscesi, la titletrack invece è più incentrata sul piano, strumento principale dell'album; riecheggia con un fascino austero, quasi notturno, quasi gotico, almeno inizialmente, ma con venature di struggente malinconia, che prendono il sopravvento quando è la chitarra acustica a dominare la trama sonora; "Bleeding Wolves" trasmette alla perfezione tutto l'enigma e il fascino della figura del lupo, quello che rappresenta nell'immaginario collettivo. Un lupo solitario, eterno incompreso, complicato, minacciato ma sempre fiero, che sopravvive nonostante tutto. L'adagio orchestrale di "Of Strenght And Sorrow" sembra voler trasmettere le prime luci dell'alba nella natura incontaminata dello Yukon; una luce tenue, che rivela gradualmente una bellezza vivida e vibrante; con "These Wings" si passa dell'alba al mattino, un cielo azzurro, praterie alte a incolte costantemente mosse dal vento, a perdita d'occhio, è un arpeggio leggero e costante a dettare il passo dell'episodio più folk, più bucolico e idilliaco dell'album. Ci sono poi le struggenti "Before The War" e "Tears Over Shetland" con le loro melodie strappacuore da tradizionali arie celtiche,la seconda è un po' più vivace, colorita da archi e cornamuse, che danno vita a un bel finale in crescendo, la prima è pura poesia elegiaca, una malinconica rievocazione di un mondo perduto.

Per quanto riguarda le due canzoni propriamente dette, cominciamo con "Bedtime Stories", ballad agrodolce e molto orecchiabile la cui caratteristica più interessante è senza dubbio l'utilizzo di un vibrafono, che aggiunge al pezzo una sfumatura più esotica; per il resto questo è l'episodio meno convincente dell'album, mielosa, ingessata, radifonica in una maniera fin troppo ovvia; l'assolo di sax a metà pezzo non aiuta in questo senso e il testo idealista-ambientalista è poco più che scolastico. Con "Bressanone" per fortuna si viaggia su tutt'altri livelli, ebbene si, c'è anche un po' di Italia in quest'album: "Here I stand in Bressanone, with the stars up in the sky, are they shining over Brenner and upon the other side. You would be a sweet surrender, but I must go the other way and my train will carry me onward; though my heart would surely stay, oh my heart would surely stay...". Evidentemente Matthew Lien ha avuto modo di visitare l'Alto Adige e ne è rimasto stregato, proprio come me; questa bellissima, sognante e rarefatta folk-ballad, inframezzata da un bell'assolo di flauto, ha un fascino magnetico ed evocativo, e valorizza al meglio la voce, non straordinaria ma comunque piacevole ed efficace dell'artista canadese d'adozione. Un plus ulteriore per un album particolare e assai affascinante; ascoltatelo, sul serio, questo periodo dell'anno poi è perfetto per questo tipo di atmosfere e sonorità; sarà un viaggio attraverso scorci di rara bellezza, e vivendolo con lo spirito giusto non si potrà che amarlo.

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