Chiudi gli occhi per un po', ti rilassi e con questo capolavoro tutto il negativo passa.
Chiunque pensasse che "La Masquerade Infernale" degli Arcturus fosse il più alto punto mai raggiunto nell'avantgarde metal, all'ascolto dei Maudlin Of The Well ed all'ascolto di questo splendido "Bath" dovrà fermarsi a pensare e riflettere certo il modo di intendere il genere è completamente diverso, ma è pur vero che i MOTW in questo caso raggiungono il vero significato del concetto di arte tirando fuori un disco assolutamente irripetibile, ma facciamo un passo indietro.
Il primo nucleo della band (ora sotto il moniker di Kayo Dot), nasce in quel di Boston, Massachusetts nel 1996 e dopo tre anni di gavetta e demos rilascia sul mercato il primo ep; tempo altri due anni e nel 2001 esce il prodotto al centro della recensione che riesce a cullare ed a deliziare l'ascoltatore con le sue atmosfere ora calme e pacate, oniriche e rilassanti, ora violente e cattive. Musicalmente questo "Bath" presenta al suo interno varie correnti musicali quali il jazz, il progressive e il death metal tutto amalgamato con grande grazie ed eleganza.
Il platter viene aperto dai quasi otto minuti di "The Blue Ghost/Shedding Qliphoth", pezzo strumentale nel quale i nostri si dilettano a proporre un jazz progressive vicino per certi sensi a quanto già sentito in Italia negli anni '70 con i Perigeo: ci troveremo dunque davanti leggiadri arpeggi di chitarra classica accompagnati dalle soavi note di tromba di Jason. A metà la traccia di trasforma poi in una sorta di progressive rock con una base ritmica estremamente rallentata che ancora una volta riporta alla mente la fusion, per poi sfociare nel progressive metal tipico dei nostri anni, spogliato però da inutili orpelli che renderebbero la canzone solamente più pesante. A riportarci a terra ci pensa "They Aren't All Beautifull", decisamente più vicino agli stilemi death che non a quelli prog, mostrandoci una band capace di tirare fuori gli artigli al momento giusto: si verrà ora sommersi da riffs taglienti di chitarra, ora da sfuriate in doppia cassa il tutto messo al servizio di un growl profondo e violento, ma mai eccessivo. Nonostante le radici più selvaggie, questi americani non rinunciano comunque a costruire delle basi estremamente complesse anche in questo caso, si accosteranno dunque agli elementi già presentati anche degli assoli più vicini al metal tecnico che non a quello estremo, vera radice della band.
"Heaven And Weak" è un altro tassello importantissimo del disco, poichè fa si che gli elementi incontrati fino ad ora convivano assieme nella stessa traccia, così se nella prima parte fa la sua comparsa il jazz, andando avanti questo si trasforma prima in progressive metal e poi in un qualche cosa più vicino ai frangenti meno estremi degli Opeth, il tutto rielaborato in maniera personale. Ottimo il lavoro della sezione ritmica che si dimostra, in questo caso in particolare, ancor più dinamica ed estrosa.
(Interlude 1) rappresenta il secondo strumentale dell'album (d'ora in poi ne troveremo ancora un altro) ed altro non è che un breve pezzo di chitarra e basso che, pur non aggiungendo nulla di che al lp, si presenta estremamente gradevole ed atmosferico. Da qui, un tetro tappeto d'organo apre invece "The Ferryman", un vero e proprio delirio musicale. All'intro oscuro fanno infatti seguito momenti molto rilassanti e delicati di chitarra che esplodono poi in sfuriate a cavallo tra black e death, per poi tornare a calpestare territori più propriamente progressive.
"Marid's Gift Of Art" si ricollega alla musica acustica ed estremamente pacata già presente nella prima traccia, nella quale si fa lodare l'interpretazione vocale davvero da brividi per espressività e dolcezza. Dolci note di clarinetto ci introducono ora a "Girl With A Watering Can" dove ancora una volta si incontrano variazioni melodiche, atmosfere ora rilassate ora arrabiate e fa inoltre la comparsa la voce femminile di Maria-Stella, dotata di una voce flebile, quasi dimessa, ma al contempo affascinante. Trovo assolutamente importante per altro questa track poiché sembra aver influenzato col tempo un gran numero di band, dal momenti che si possono trovare delle eco in bands quali Aghora, Atrox, To-Mera e simili. Si passa all'hardcore jazzato con venature death/black in "Birth Pains Of Astral Projection", divisibile idealmente in due sottoepisodi, il primo molto lento e quasi strumentale, se non per la comparsa di alcune linee vocali. Verso metà canzone si cambia poi atmosfera con la comparsa di growl, riffs decisamente più quadrati e potenti ed una sezione ritmica dove giganteggiano doppia cassa e un basso in sottofondo corposo e pulsante.
A stemperare l'atmosfera, appesantitasi dopo "Birth...", ci pensa il jazz di chiara derivazione Methiniana di "(Interlude II)", che ci conduce agli ultimi 5 minuti del platter con "Geography", docilissimo pezzo prog rock, che vede una sferzata verso la fine, conducendoci al termine di uno dei migliori platter in campo avantgarde degli ultimi otto anni.
Scusate il "sensazionalismo" che si può ritrovare in questa recensione, ma non dare a questo disco gli onori che merita, reputo sia una cosa totalmente sbagliata e meschina. Buon ascolto.
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