Notes from SLEEP OF TIRED CIVILIZATION
"Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì" (Augusto Monterroso)

Zoo di Napoli. Anni Zero del 2000. L'Europa dopo la pioggia. Spesso nel tardo pomeriggio prendevo la metropolitana da Piazza Dante o da Piazza Cavour e raggiungevo Piazza Vanvitelli al Vomero per andare in negozi di musica, in genere Fonoteca o FNAC. Viaggiavo sempre con gli auricolari, sempre musica elettronica, roba che mi desse l'idea del ferro e della tecnologia che usavo per spostarmi, passandoci in mezzo, coperto di rumore. Mi capitava sempre di osservare e di pensare la gente che stava sul treno. La guardavo d'inverno raggomitolarsi per il freddo, alzarsi i cappucci delle felpe, addormentarsi sfinita con la testa penzolante o battente nei finestrini dopo giornate lunghe e faticanti di lavoro. La guardavo resistere alla sonnolenza e poi farsi vincere da essa, fissavo tutti quegli occhi chiudersi con la morbidezza di un gatto che socchiude e sbadiglia, osservavo il freddo e la condensa che potevano anche rendere intimi. Un desiderio di torpore mi attanagliava e mi rendevo conto di come tutti fossimo, in fondo, parte di una società ormai stanca. Pensavo a mondi interiori che non si riescono a comunicare. E poi continuavo a immaginare. Immaginavo quella donna delle pulizie estenuata ed afflitta dopo un giorno di lavoro, l'immaginavo una volta a casa a preparare da mangiare per i figli piccoli, cenare, lavare, sistemare e poi metterli a letto. L'immaginavo farsi una doccia e poi mettersi finalmente a letto, anche lei, col suo uomo o da sola, m'immaginavo il suo godere di un languore addosso, m'immaginavo alluci infilati in buchi nelle lenzuola come in Intimità di Sartre. Un'intimità privata la cui conoscenza era riservata solo a lei e ai suoi affetti più stretti. Il suo sonno e la ruota che avrebbe ricominciato a girare l'indomani mattina, soltanto poche ore dopo.
M'immaginavo di vederli dormire tutti su quei treni, tutti spiriti sciolti nell'aria.

Questa razza umana che adora gli orologi e non conosce il tempo, civilizzazione metronomica che perde il contatto e il controllo di quei cronometri che compra, che nonostante i timing imposti non riesce a stare al passo dei secondi che rincorre, affannata in occupazioni di cui spesso non gliene frega niente. Società cronica e cronologica, piena d'illuminazione artificiale dove il sonno e il riposo sono considerati spesso quasi un nemico che ostacola la produttività. Una corporazione obesa e secca alla ricerca asmatica e penosa di una specie di New Age industriale. La corporazione che sente il bisogno di droghe, di zone grigie di decompressione, ma che avrebbe bisogno anche di momenti di chiarezza, libera da dipendenze d'eccitanti, più serotonina che adrenalina, liberata a godersi finalmente il chiarore della luce mattutina. Passavo quasi tutti i fine settimana a casa della mia compagna, al Cavone. Il Lunedì mattina tornavo a casa mia in Via Duomo. Lungo il tragitto passavo sotto il Conservatorio di San Pietro a Majella. Percepire per pochi attimi una frase di pianoforte, qualche nota di violino o di flauto o una voce attraverso quelle mura e sentirla risuonare nella strada mi metteva sempre di buon umore e la giornata mi sembrava più bella e degna di essere vissuta.
All'uscita di qualche libreria a chi mi proponeva libri medi indiani per la sopravvivenza rispondevo sempre no grazie, io personalmente preferisco la cupezza Mitteleuropea.
Studiavo sempre di notte, una visione molto personale di situazionismo: luci basse negli angoli, candele, portatile a lato, libri sulla scrivania illuminata da una lampada da studio legale, poi odore di matite, di evidenziatori a secco e fluorescenti, d'inchiostro bic, di carta, di caffè e fumo, e tanta musica strumentale, principalmente classica, colonne sonore ed elettronica da camera.

Max Richter è un compositore tedesco, britannico d'adozione. Il suo nome è abbastanza noto e prezioso. Anche se con percorsi completamente diversi, la sua costellazione acustica potrebbe essere, in qualche modo, parente a quella di Basinski. È passato per Firenze, alla scuola TEMPO REALE di Luciano Berio, per alcuni anni ha fatto parte dell'ensemble che ha collaborato con Arvo Pärt, Brian Eno, Philip Glass, Julia Wolfe, Steve Reich. Un curriculum impressionante.
Ha collaborato con FUTURE SOUND OF LONDON, si è occupato delle soundtracks di Black Mirror (Nosedive) e The Leftovers tra le altre, ha realizzato una rilettura de Le Quattro Stagioni di Vivaldi, ha rilasciato album di bellezza dolente e sublime come The Blue Notebooks, uno dei sottofondi più pertinenti per una stagione nell'Inverno, Memoryhouse, che è come un bacio tenero e tremolante di una persona anziana, 24 Postcards in Full Colour, brevi annotazioni che guardano alla vita che vola via.
La sua musica mi ha accompagnato spesso in quelle sessioni di studio AM.
SLEEP (2015) è un lavoro concepito per essere ascoltato durante le ore del sonno, una ninna nanna cameristica di poco più di otto ore per il riposo da questo mondo sempre di fretta, sempre in ritardo. La sua uscita per la Deutsche Grammophon è stata accompagnata anche da una riduzione di un'ora (from SLEEP), pensata per le ore di veglia, che riprende tutti i temi principali dall'opera completa e da un disco di Remix a cura di gente come Mogwai e Digitonal. Un lavoro che rimanda a certi esperimenti di Terry Riley, a precursori come il Raymond Scott di Soothing Sounds for Baby (1964) e ad opere pioneristiche come le Variazioni Goldberg, commissionate a Bach come cura per l'insonnia. SLEEP è una lunga composizione da ascoltare da mezzanotte alle otto del mattino. Un sound notturno, lunare ed ovattato, per pianoforte, organo, sintetizzatore, quintetto d'archi ed elettronica. Pochi temi, diverse variazioni, droni e la tensione agli astri. Si levano violoncelli, entra un soprano. Echi di melodie che potrebbero durare oltre l'infinito, Le consolazioni di Liszt rivedute e riverite, romanticismo rallentato fino alla dilatazione, tempo statico, Tempo Lounge, nostalgia al rallentatore, poche note, quelle che servono.
Presentato dal vivo in poche occasioni ed eseguito nella sua interezza, in alcune di queste l'auditorio invece che su delle poltrone è stato fatto accomodare su dei materassi preposti all'ascolto. SLEEP è un flusso cinematografico, proprio nel senso di scrittura del movimento. Sublunar è probabilmente il suo zenit.
La notte è il tempo per le domande e per mettere in discussione le risposte usuali. Finisce la musica, resta solo il ronzio del computer. Overnights Delicatessence.

The Decline of Western Civilization (1981). Il declino è continuato passando dagli anni ottanta. Gli orologi digitali al quarzo della Casio, i primi VHS. L'individuo, il suo cervello, il cubo di Rubik, l'aria condizionata morta, l'equilibrio di Nash, la Teoria dei Giochi, il nucleare, il fumo di Londra, le 24 ore, le settimane non stop. L'architettura verticale senza stelle, i ragionieri con bottiglie piene di pioggia che comprano e vendono l'anima, gli studi di commercialisti, gli stop'n'go quotidiani che ti ammazzano, Ong e la Terza Oralità, gli ascensori negli ospedali, le pizze express, i Daily Specials. Stress di notte, la cura del sonno, il sonno ad onde lente, l'eccessiva sonnolenza diurna, le apnee notturne, la narcolessia, il ritmo circadiano, le parasonnie o Disturbi del Sonno, gli psicofarmaci, i sedativi, gli articoli scientifici, le notti insonni, Le Notti Bianche, le nottate storte, le nottate passate da soli, le nottate agitate a chiedersi quanto i Media influenzino i sogni notturni della gente, milioni di sveglie che non smettono di suonare contemporaneamente e, al mattino, un Have a Nice Day con una voce che è l'assoluta voce della morte come in THIS IS WATER.

Esiste una setta mondiale silenziosa, una setta che sta fuori dal luogo comune che adora il sole dell'estate mentre ti cucina bagnomaria. Che odia quella stagione irrespirabile forse perché, con Senada, alle temperature basse si ragiona meglio. Che sta ben alla larga da certe intraprendenze leggere e noiose. Che ama le estati piovose, la natura bagnata, la notte e il sonno che è capace di resettare il tempo.
Il suo bramare tacito è quello di De-Siderare. The Rain People: NEUROPAX.

Lungomare di Salerno, verso la fine dei primi Anni Dieci del Terzo Millennio, oggi. Gennaio e Febbraio sono mesi laici, i miei preferiti. La pioggia mi piace, mi fa sentire protetto. Mi capita spesso di pensare, leggendo romanzi, guardando film, foto, quadri, a quanto certe immagini mi incantino e a come tuttavia io non riesca a godermi certe situazioni simili, quando cioè potrei essere io il protagonista di quei frame idealizzati che mi danno una sensazione di calore. Spesso penso alla cover di Una Donna Per Amico di Battisti e vorrei vedermi così. Ho sviluppato un innamoramento per quella copertina, contemporaneamente a volte penso sia l'immagine della mia inquietudine e insoddisfazione. La guardo e penso allo sfogliare svogliati quotidiani unti di zucchero di brioche e macchiati di caffè, a percentuali di umidità, allo stringersi nei cappotti e ciò nonostante godersi ugualmente il freddo.
Sono nato nel 1981, sono cresciuto tra le donne in una piccola frazione, nonne, zie, mia madre. Ho ascoltato centinaia d'ore di Radiodrammi da bambino, mi affascinava la grana delle voci che uscivano dall'apparecchio. Ho fatto in tempo a vedere il passaggio dall'analogico alla rivoluzione digitale in corso, dal cartaceo alla scrittura elettronica. Quando ero piccolo alle volte la corrente andava via per ore, allora tutte quelle donne raccoglievano tutte le candele che avevano a disposizione, alcune già consumate fino a metà, e ci si radunava tutti, donne e bambini, in una stanza piena di quelle luci e si parlava e raccontava. Passavano le ore e questo è uno dei ricordi della mia infanzia a cui sono più affezionato. Poi sono diventato adulto.
Spesso arrivavo in città di mattino presto, fuori faceva freddo. Io ero in pullman caldi di riscaldamento e guardavo i clochard che avevano passato la notte tra il gelo e il fogliame umido e diventavo perplesso.
Poi una corsa e una nottata in ospedale e 23 mesi dopo.
Radio Harlem and the Big Beat e registrazioni come queste che sono entità sonore.
SLEEP è una suite senza orario da ascoltare un venerdì notte. Dopo essersi rilassati con un bagno caldo, mettersi in abiti comodi e rasserenarsi nella nottata, accomodati su un divano guardando fuori. Una cura dopo una settimana di lavoro, per chi ha la fortuna di averne uno (possibilmente senza esserne schiavizzati -che non sia mai un chiedere troppo-), avendo, si spera, il giorno successivo libero.
Godersi un ascolto lungo una notte di tempesta.
Scivolare nel sonno così, poi domani si vedrà.
Feeling Kinda Lonely Underneath The Strobe... Nachtmotiv.

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