Se non fosse vero che i grandi gruppi italiani rappresentano ognuno uno stile a sé senza possibilità di stilare classifiche e gerarchie, direi che i Maxophone sono forse i più grandi. Ennesima meteora del panorama Prog Italiano i Maxophone hanno avuto anche la sventura di uscire sul mercato nel '75, quando oramai il genere era in declino e le attenzioni si rivolgevano altrove, e la storia ci ha insegnato dove.

Questo capolavoro, ristampato poi in inglese con ancora meno successo, è un tripudio di sonorità solari, che fanno sognare e  gioire. La loro musica è quasi una summa del prog, soprattutto per le influenze inglesi, ma senza smarrire la propria personalità, così italica, così Maxophone. Li si può accostare ad alcuni esponenti del fenomeno di Canterbury per la melodicità e le parti strumentali, ma soprattutto ai Gentle Giant per vari motivi: l'ironia di alcuni arrangiamenti, i giri di basso e le ritmiche semplici ma perfettamente incastrate con la chitarra simile a quello di Gary Green, e per i cambi di tempi e l'uso dei strumenti così inconsueti come corno inglese, vibrafono e il clarinetto. Ciò che ne esce fuori è da antologia.

Tecnicamente preparatissimi, paragonabili ai più blasonati PFM e Banco, con alle spalle solidi studi classici e un invidiabile quanto inconsueto organico, danno vita ad un insieme di brani pulsanti di creatività e talento, permettendo un'ideale fusione tra musica colta e popolare: uno dei motivi d'essere della musica Progressive.

È subito"C'è un paese al mondo" a farci innamorare di loro. Un piano ricco di dinamiche che pur sfiorando Trilogy degli Emerson Lake And Palmer approda verso lidi molto meno stucchevoli, ovvero verso il sound unico dei Maxophone. La voce suadente di Alberto Ravasini incastonata da una cornice ideale di organo e corno inglese ci conquista e lascia da subito intervenire un clarinetto su di un walking bass e un piano in reggae time che ci fa sorridere ma allo stesso tempo urlare: geniali!!
"Fase" sembra uscita da Octopus dei Gentle Giant per la ritmica, il solo di vibrafono e l'organo fiabiesco dai toni alti, ma l'evoluzione di sax, corno e flauto gli dona un fascino suo proprio che ci trasporta in un'altra dimensione. L'apertura di "Al mancato compleanno di una farfalla" ricorda Steve Howe degli Yes seguito dai Jethro Tull con ma non appena il corso in falsetto esordisce vieniamo invasi da una luce nuova e sembra di vedere quella farfalla che si fonde della natura incontaminata. "Elzeviro" ci fa domandare come Peter Gabriel sia riuscito ad imparare l'italiano così bene, ma ancora una volta l'apertura legata ai canoni inglesi viene surclassata dal giro che più italiano non si può, anche se Peter Banks sembra in agguato poco dopo. "Mercanti di pazzie" e l'apertura di "Antiche conclusioni Negre" segnano forse il passo più chiaro della loro intrerpretazione degli amati Gentle Giant fusi mirabilmente dalle parti vocali personali e trasognanti. È incredibile poi come la voce moduli verso la timbrica spaventosamente simile a quella di Peter Hammill dei Van der Graaf Generator (chi canta in quel punto?). È commovente poi il finale soul con tanto di cori che trasudano negritudine da tutti i pori. Sembra l'addio di uno dei più grandi momenti della musica italiana di tutti i tempi, così grande da non essere riuscito a concedere il tanto atteso bis, proprio come Paganini.

Nel 2005 è uscito un interessante cofanetto CD + DCD dal titolo From cocoon to butterfly che rievoca tutte le, aimè troppo poche, gesta della band. Il lavoro è stato promosso da sporadici concerti che lasciano sperare in una reuniun proficua e duratura.

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