La storia dell'heavy metal è piena di gruppi semi-sconosciuti ai più, ma che possono comunque contare su uno zoccolo duro di appassionati più o meno fedeli; questo indipendentemente dalle loro capacità o dalla qualità della musica da loro proposta: semplicemente succede così...

 I Meliah Rage fanno parte di questa categoria di gruppi che, per un motivo o per l'altro, non ce l'hanno fatta ad imporsi all'attenzione del grande pubblico, pur possedendo buone capacità e pur proponendo uno stile che in quegli anni stava riscuotendo buoni consensi. Il gruppo nasce sul finire degli anni '80 per iniziativa del chitarrista e compositore Anthony Nichols, residente in quel di Boston. Il nome abbastanza inconsueto della band parrebbe derivare dalla furia che si impossessava di un'antica tribù indigena locale, i Meliah appunto, ogni qualvolta doveva scendere in battaglia sotto i fumi dell'oppio.

 Musicalmente il quintetto (completato da Mike Munro alla voce, Jim Koury alla seconda chitarra, Jessie Johnson al basso e Stuart Dowie alla batteria) viene generalmente inserito nel filone thrash metal; definizione corretta solo in parte perchè, a ritmiche serrate tipiche del thrash alla Metallica/Testament prima maniera, la band associa un gusto ed una ricerca melodica prese in prestito direttamente dalla New Wave of British Heavy Metal dei primi Iron Maiden e di band più oscure come i Grim Reaper. Un misto esplosivo che produce come risultato un sound potente, grezzo ed aggressivo, in linea con i quasi contemporanei Metal Church o Vicious Rumors: insomma, chiamatelo thrash metal, chiamatelo US power metal, la sostanza sempre quella è...

L'album in sè è molto breve, appena 7 tracce che scorrono senza intoppi: dall'opener "Beginning of the End", una delle tracce più potenti dell'intero lavoro (con un attacco iniziale "preso in prestito" da qualcuno di ben più famoso) alla conclusiva "The Pack", classico esempio di velocissimo speed metal. In mezzo, il groove grave e pesante di "Bates Motel", il furioso assalto di "Deadly Exsistence" a cui si contrappone la seguente "Enter the Darkness", dal ritmo trascinante e da linee melodiche di strofe e refrain di immediata presa sull'ascoltatore; c'è spazio anche per una lunga strumentale intitolata semplicemente "Meliah Rage", in cui si palesano tutte le caratteristiche del sound della band: ritmiche serrate si affiancano a momenti più cadenzati, con numerosi assoli di chitarra ad unire il tutto. Dalla lista manca la title-track "Kill to Survive", letteralmente eliminata dalla casa discografica per via dei suoi contenuti ritenuti troppo espliciti e violenti, che avrebbero causato non pochi problemi a causa del rigido controllo esercitato in quegli anni dal PMRC sull'industria musicale (salvo poi esser inserita appena un anno dopo nel live-EP "Live Kill"...)

 Nonostante questo buon debutto, la band non avrà vita facile e non riuscirà ad emergere nell'affollato "panorama metallico" di quegli anni: a questo album seguirà poi un altro buon lavoro come "Solitary Solitude", ma poi l'arrivo dell'ondata grunge spazzerà via tutto e tutti, costringendo la band ad abortire il progetto di un terzo album (che verrà poi pubblicato solamente nel 2002 con il nome di "Unfinished Business") ed a sparire dalle scene per qualche anno, per poi ripresentarsi saltuariamente con numerose modifiche alla formazione originale e con lavori dalla qualità altalentante. Ultimamente, anche grazie al rientro nei ranghi di Munro, la band pare aver trovato una certa stabilità, culminata con la pubblicazione nel 2009 del convincente "Masquerade".

Una band da riscoprire; una band non certo composta da virtuosi, ma da onesti e capaci mestieranti che avevano provato ad inseguire un sogno, come tanti altri gruppi del loro tempo a cui è stata riservata miglior sorte, che ai Meliah Rage è stata purtroppo negata.

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