Quale chiave di lettura possiamo dare di questo "Black Album" (l'ho sempre chiamato così) uscito ormai nel lontano 1991?
Quello che è considerato la pietra dello scandalo, l'inizio della fine, il primo passo di quel processo di evoluzione-involuzione che ha portato i Four Horsemen ad essere additati come traditori e avidi fantocci, è un album che sembra rinnegare con un colpo di spazzola sette anni di carriera durante i quali i Nostri hanno cavalcato la tigre dell'heavy metal meglio di chiunque altro.
Partiti in quarta con il ferocissimo e incalzante "Kill 'Em All", tutto sudore, nichilismo e rabbia giovanile, passando per il più cupo e variegato "Ride The Lightning", fino a lavori maturi e ipercomplessi come "Master Of Puppets" e "… And Justice For All", nei quali i ragazzi si sono divertiti a comporre come dei novelli Mozart stradaioli e cattivissimi, i thrashers della Bay Area approdano a uno stile semplice e austero, ammiccante e ben oliato, pronto per il consumo su larga scala. Come interpretare un simile "voltafaccia"? Scelta coraggiosa? Sell out? Passo falso bello e buono? Ognuno tragga le sue conclusioni. Posso affermare, dal canto mio, che quello che mi trovo a recensire è uno dei miei album preferiti. Quello che ha dimostrato che la band non è solo capace di intessere atmosfere pregne del metal più intransigente e barocco, ma anche di addentrarsi in territori meno arzigogolati con una destrezza non comune.
"Enter Sandman" richiama l'irruenza teppistica di gruppi come Who e Small Faces, con il suo ipnotico riff introduttivo e il suo ritornello urlatissimo, pronto per gli stadi. "Sad But True" si affida al blues, alla sua ossessività e alla sua ferocia, ma il risultato è atmosferico, non aggressivo, da incubo notturno piuttosto che da assalto thrash metal, mentre "Wherever I May Roam" gioca con un intro indianeggiante e "The Unforgiven" cita il folk inglese pur essendo sommersa da riff abrasivi e assoli quasi parossistici. Eppure, i Metallica divertono ma non fanno paura, non fanno urlare al miracolo. Si tratta di brani chiassosi eppure perfettamente allineati, ruggenti ma per nulla sovversivi, duri ma non troppo. Allora tutto diventa più "facile", anche giocare a fare il verso ai Traffic di "John Barleycorn" in una ballata folk-orchestrale come "Nothing Else Matters" (niente meno che una fottutissima canzone d'amore) e a dare un tocco d'atmosfera all'ombrosa e depressa "My Friend Of Misery" con un surreale break incentrato su una melodia ipnotica del basso.
I brani che cercano di riportare alla memoria i "vecchi" Metallica, quelli che provano a fare i duri con cadenze supersoniche, urla da macello e riff schiacciasassi, come "Through The Never" e "The Struggle Within", sono più che altro riempitivi, tutt'altro che brani rappresentativi di questi Metallica in giacca e cravatta. Inborghesimento? La voglia di piacere alla masse è innegabile. L'incapacità di richiamarsi al passato altrettanto. Eppure Ulrich, Hetfield, Hammett e Newsted sono giunti a creare il pop-metal, orecchiabile e godibile, forse un po' deludente, se si pensa alle capacità dei Metallica. Non va chiesto troppo a un album del genere. Quel poco che ci si deve aspettare, a mio parere, lo promette e lo mantiene. Pensate a quell'ammasso anonimo e confuso di "Reload", e al più riuscito e conciso "Load", due album dove la libidine commerciale ha sposato una certa mancanza di idee, e paragonateli a questo "Black Album". Alcuni gruppi cambiano pelle, altri restano fedeli a se stessi fino alla noia. L'importante è che ognuno faccia le proprie scelte in assoluta consapevolezza. Pentirsi, sia pure con le migliori intenzioni, non è quasi mai una scelta indovinata, e i Metallica di "St. Anger" lo sanno bene.
Il nuovo album è previsto per la prossima estate, che dite, c'è ancora speranza che gli Horsemen imparino di nuovo a cavalcare?
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