Ore 7:30 di una qualsiasi mattina d’inverno. Adam Pierce apre gli occhi, solleva il suo corpo assonnato dal letto, barcollando assesta i piedi nudi su un pavimento gelido, lancia uno sguardo veloce e distratto fuori dalla finestra. Nulla è cambiato da ieri la sua New York è coperta da un cielo nero pece, nevica da far schifo e il solo pensiero del freddo che può fare in strada lo fa indietreggiare fino a ripiombare nel caldo avvolgente delle coperte.

Se avreste solo per alcuni giorni vissuto l’ultimo gennaio della grande mela anche voi come molti newyorchesi sognereste ad occhi aperti il sole del Brasile, anche voi sareste affetti da una cronica ed inspiegabile “saudade”.
Questa inutile prefazione è mirata ad allontanare da “Obrigado Saudade” coloro i quali attirati dall’ esotico titolo, sperano, acquistando quest’album, di soddisfare le proprie voglie di nu-brazilian-electro (aggiungete pure insignificanti nomi alla lista) e quant’altro la moda danzereccia dell’ultimo periodo ci sta somministrando. Tolte le deliranti divagazioni, non c’è nessun tipo di legame, tanto meno musicale, tra l’ultima fatica dei Mice Parade e il Brasile.

Se viceversa c’è qualcuno incuriosito da come abili musicisti siano capaci di realizzare canzoni dal suono distintivo e dall’affascinante melodia, questo lavoro potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa. Adam Pierce one-man-band del progetto Mice Parade, ci consegna 12 tracce scaturite dalla fortunata miscela di strumenti acustici ed arrangiamenti elettronici. In apertura l’ipnotico sound dei Mùm ottiene un restyling (“Two,Three, Fall” ma anche “Spain”), la fanciullesca voce di K.A. Valtýsdóttir, in libera uscita proprio dal gruppo islandese, è a suo perfetto agio su un tappeto di arpeggi e beat elettronici.

Il punto più alto del disco lo raggiungiamo già con “Focus On The Rollercoaster”, canzone che nell’incedere ricorda le montagne russe del titolo e nell’atmosfera i sempre rimpianti My Bloody Valentine di “Loveless”. Le montagne russe sembrano tornare nei veloci passaggi di stile e genere: ritmi incalzanti e jazzati (“Mystery Brethen”), l’immancabile post-rock di Chicago, le più frequenti divagazioni elettro-acustiche che hanno nel suono di Four Tet i rimandi più espliciti (provare per credere arpa e chitarra in “Guitars For Plants”), queste le sensazioni più forti e più difficili da dimenticare. Componenti degli HIM e del Dylan Group si uniscono alla realizzazione di un album confezionato per scaldare i cuori durante il più gelido degli inverni e di cui si finisce per apprezza ogni singola parentesi.

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