La telecamera barcollante fruscia veloce tra i frutteti per immortalare la scena. Uno corre, scappa ansimante con un mitra in mano. Spara disperato buttando uno sguardo indietro, senza interrompere la corsa: il busto di traverso ed i piedi che continuano a macinare passi nella campagna. Il peso dell’arma spinge tuttavia la canna verso il basso e così l’altro non cerca nemmeno di schivarli. I proiettili. Si interrano infatti mestamente con sordo rumore. Con glaciale calma prende la mira e lascia che si allontani ancora un po‘: il primo colpo non va buon fine. Il secondo fa cadere la carcassa. Di un bandito, uno dei tanti rapinatori che imperversava in quegli anni post depressione nel Midwest statunitense. Il procuratore capo ha trovato nell’agente Purvis il suo segugio migliore. La preda da scovare è invece già libera che scalpita e si chiama John Dillinger.

Michael Mann per certi versi ripropone in "Nemico Pubblico" la struttura di "The Heat" nel senso che, così come aveva fatto a suo tempo con DeNiro e Al Pacino, mette al centro del suo occhio di bue i due protagonisti, Depp e Bale, sfuocando e relegando (ad esclusione della Cotillard) ad un ruolo comprimario il resto del buon cast impegnato. E’ un film che manca di epicità e che vuole risultare essere scarno ed asciutto: un resoconto storico, poco romanzato ed incentrato sulla violenta caccia a Dillinger. Il montaggio delle scene volutamente disordinato nelle fasi più calde e crude riesce a trasmettere una buona dose di adrenalina con il solo secco rumore delle raffiche delle armi automatiche a fare da colonna sonora. La mancanza di colpi di scena è palese ed il ritmo della pellicola, nel complesso blando, conferma che l’intento del regista non è un action movie, ma riuscire a rievocare il mito di un bandito romantico. Intrigante, egocentrico e per certi versi infantile che rapinava le banche (considerate il male) e bruciava i libri dei debitori. Voleva avere tutto, godersi la vita fino in fondo in cappotti firmati, ristoranti alla moda, avere l’approvazione della gente e vivere nell’illusione di un ultimo grande colpo. Anela questa speranza anche quando viene progressivamente emarginato e isolato dalla polizia prima e dalla mafia poi che lo priva degli appoggi necessari. In quel ghigno beffardo da super-uomo, celebrità, Depp ci si tuffa di testa con un’interpretazione di valore, mentre Bale rimane un po’ incastrato in un personaggio freddo e glaciale che reprime ogni sentimento di rabbia, dolcezza e felicità con un serramento di mascella. Melanconica e triste Venere mora un’ottima Collard, capace di rendere al massimo l’innamoramento irrazionale nei confronti di Dillinger. Sa bene che non potrà essere per sempre, ma si illude di sbagliarsi.

In tale contesto il modo prettamente estetico in cui riproporre la pellicola, e di conseguenza il ruolo di Spinotti direttore della fotografia, è oltre modo importante. Mi viene in mente la slow motion nella quale John entra con fare da superstar nella neonata e deserta “Sezione Dillinger” a Chicago con gli occhiali da sole come unica difesa. Giochi di luce sul volto mentre scorre gli articoli raccolti e meticolosamente attaccati alla parete da Purvis & Co. Gode di questo lavoro di ricerca mentre ghigna e con irriverenza sfotte i suoi segugi allontanandosi con passo lento. Lo stesso sguardo mentre, con una maggior grana data alla pellicola per rendere l’effetto del tempo andato, viene arrestato e trasportato in macchina nel penitenziario di turno. La folla, in quella che sembra una passerella, lo acclama e sembra di essere all‘interno di uno storico filmato d‘epoca quando vediamo le ombre delle mani protese avvicinarsi ai finestrini. L’angolazione delle inquadrature nell’infinita sparatoria notturna nei pressi di Little Bohemia. Qui Spinotti si affida al digitale per farci entrare in un inferno di vetri rotti e mitragliate con continui cambi di scena (assalitori e disperati difensori) fino alla fuga tra cortecce svolazzanti nel bosco. E ancora, e qui concludo, uno slow motion con fiori rossi che inesorabilmente sbocciano da puntini sulla camicia bianca nel drammatico e teatrale finale, con tanto di tradimento.

3 e mezzo.

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