La mia ultima scoperta musicale arriva dalle bellissima Australia, la terra natale di Sam Sparro e che ha visto muovere i primi passi al fenomeno Bee Gees; sono tre ragazzi originari di Melbourne e la loro musica si può definire come uno sci-fi pop interamente imperniato sull'elettronica, non dissimile da quanto proposto da un'altra mia recente segnalazione, ovvero gli americani Starfucker, ma un po' meno psichedelici e leggermente più inclini al dancefloor. Atmosfere accattivanti e fascinose, a volte rarefatte, in altri momenti più ritmate e in altri ancora ipnotiche ed un ampio uso di voci filtrate inframezzate da qualche chorus in falsetto nei punti giusti e, soprattutto, una personalità molto evidente e definita, magnetica e mai fiacca, merce rara in una scena pop/alternative pop spesso stanca, incartapecorita e priva di slancio.

Formatisi nel 2004, i Midnight Juggernauts debuttano ufficialmente con questo album, "Dystopia" (2007), che si presenta benissimo fin dalla splendida copertina, perfetta per rappresentare la proposta musicale del trio: suoni e colori che danzano liberi, melodie fluide ed ammiccanti ma che risultano inevitabilmente aliene per le orecchie di un distratto ascoltatore radiofonico. Questo lavoro deve moltissimo ai grandi maestri del groove degli anni '70, Giorgio Moroder in primis, e i titoli delle canzoni tradiscono la fascinazione del gruppo per tematiche ed immaginario fantascientifico, elementi che rendono "Dystopia" qualcosa di retrò e futuristico al tempo stesso. Cavalli di battaglia come il mantra cadenzato e solenne di "Ending Of An Era", la disco epica e futuristica di "Into The Galaxy" e la splendida incursione techno di "Tombstone" assicurano all'album un impatto convincente ed apprezzabile fin dai primi ascolti, l'apice emotivo lo raggiunge la titletrack "Dystopia", isolata apparizione delle chitarra acustica nel microcosmo elettronico del disco, che "rubacchia" la melodia a "Mary" degli Scissor Sisters ma con l'approccio vocale e quella sensazione di catartica disperazione e malinconia di "The Man Who Sold The World" di David Bowie. Quattro canzoni che bastano e avanzano per formare un nucleo solidissimo, una struttura portante che regge un album completato da episodi un po' meno cangianti, dal fascino più sottile e sfumato, come ad esempio "Road To Recovery", un groove che richiama vagamante quello di "Bliss" dei Muse, ma con una struttura più articolata, senza nessuna pretesa rock e senza la voce ipertrofica ed alla lunga stancante di Matthew Bellamy, dando quindi più risalto ai suoni, ai bassi ed alle tastiere, "Shadows", in cui sembra essere cristallizzato l'acuto di Ian Gillan in "Child In Time", che si perde in una sinuosa volta celeste di elettronica e nel battito primordiale dei bassi, la breve "Worlds Converged", in bilico tra i cori dei primi Queen ed un'alone darkeggiante che sembra richiamare i Depeche Mode, influenza presente anche in "Twenty Thousand Leagues". Completano l'album "Nine Lives" che conferma la caratteristica e lodevole scelta di sacrificare le voci al ruolo di elemento complementare e secondario a vantaggio dei suoni, dell'atmosfera generale del pezzo e "So Many Frequancies", attraversata da una ben percettibile corrente di irrequietezza new-wave, traghettando l'ascoltatore all'epilogo, l'idillio estatico di "Aurora", uno di quei lenti rarefatti e languidi che, se reiterati più volte nel corso di un album, finiscono per renderlo un salasso di noia inascoltabile ma in singola quantità, posto proprio alla fine del viaggio "Dystopia" svolge la sua fuzione in maniera impeccabile, rilassa, ristende, scarica a terra le emozioni, riesce a far sognare.

"Dystopia" del 2007, opera prima dei Midnight Juggernauts, quindi può rientrare a pieno titolo tra gli album della mia personalissima collana "un altro pop è possibile"; impressioni generali su questi ragazzi: beh, innanzitutto c'è da dire, e lo avrete sicuramente capito leggendo la recensione, che sono dei grandi citazionisti, come del resto lo sono anche gli Scissor Sisters, i Muse o Sam Sparro, e questo non è sinonimo di copioni, anzi, è un complimento. Saper rielaborare in maniera personale quanto fatto da altri in precedenza è sempre una dote, mai un limite se si ha la capacità di emozionare e di intrattenere; la ragione per cui, in ultima analisi, serve la musica pop. "Dystopia" è un disco versatile, va benissimo per ballare ma anche per riflettere, chiudere gli occhi e sognare. Se l'uomo è arrivato solo sulla Luna e poi si è fermato la musica è riuscita a conquistare l'universo ed i suoi paesaggi, "Dystopia" ne è una dimostrazione palese. Sarebbe veramente bello che artisti come i Midnight Juggernauts e gli Starfucker godessero di maggiore visibilità e considerazione, magari soppiantando definitivamente i Muse, che hanno già scritto la propria storia ed ora sono morti e sepolti e non hanno più nulla da dare. La musica è come l'energia, non si crea e non si distrugge, semplicemente muta, e bisognerebbe prestare più attenzione alle nuove fonti, invece di continuare a trivellare dei giacimenti ormai esauriti.

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