La musica italiana mi fa - veramente - parecchio schifo. Mi fanno schifo i loro patetici tentativi di venire fuori dal sottobosco, di fare a pugni tra di loro, le loro ipocrisie congenite, i loro tentativi di arruffianarsi una - di per sè misera e vomitevole - stampa. Mi fanno schifo le loro rime italiane (l'italiano è la lingua di Dante, e non di Elvis: basti questo a chiarire le menti), mi fanno schifo le loro pronunce in inglese. Mi fa schifo la tradizione musicale italiana, mandolino e tagliatelle. Mi fa schifo la visione del cantautore italiano, mi fanno schifo le nuove rumorose patetiche leve. "Non si esce vivi dagli anni '80", leggevo in uno dei - pochi - lavori italiani che non m'hanno schifato. Piuttosto - non si esce vivi dalla tradizione musicale italica. Sono uno stronzo - e che farci, d'altronde.

Un'anima mi regala "questo" disco dei Midwest. La guardo, devo dirgli qualcosa. So, ahimè, che il disco non m'aveva schifato, dacchè già una volta aveva solcato il lettore. Ma, crogiolato nella mia prevenzione, l'avevo subito rispedito al mittente. Stavolta, stavolta non c'è possibilità di rispedirlo, lo metto in tasca e penso: "il primo disco italiano in mezzo a mille, ma lo butto veramente sotto, dove non si vede".
Torno a casa distrutto e ho mille pensieri (dolci e amari) che mi violentano. L'ascolto. “Harry the father" parte bene, uno strumentale senza voce, e già di parte della mia prevenzione non so che farmene. Adesso ricordo che m'era piaciuto anche allora. Lo so, sono uno stronzo, e in verità vi dico che non vedevo l'ora che la voce arrivasse, e - quando arriva - ahimè è un pugno nello stomaco: incrocio perfetto tra la ruvidezza di Tom Barman (dEUS, Magnus) e la dolcezza di Paul Anderson (Tram). Poi, seguono un diluvio di chitarre acustiche, banjo, carezze di piano, percussioni lievi, bassi lamentosi, organi e organetti. Lo ammetto: la musica italiana mi fa davvero schifo, ma io ho un debole per gli organetti, ho un debole per questa cazzo di visione poetica del folk, del country (ah! il cuore mi fa male). Ho un debole per Will Oldham, per Woody Guthrie, ho un debole per Bob Dylan e Neil Young. Ho un debole per i padri e pure per i figli, che si chiamino oRSo, Califone, The Bathers, The Good Life, The Zephyrs, Broken Dogs, Animal That Swim, Hem, St. Thomas e compagnia cantante. Ho un debole per le voci strozzate, e godo delle voci sofferte. Così sofferte che ogni riferimento non esiste: quando una voce è così, diventa unica - a suo modo.

Questo disco è meraviglioso, e non finirà sotto la mia pila di dischi, dove tengo schifezze ben peggiori. Questo disco è meraviglioso. Non è lui ad essere italiano, sono gli altri italiani che insistono ancora a voler suonare.

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