C'è tutta l'indecisione di una nuova società che viene avanti nelle scelte improvvisate e nei capricci di Ben, così come nelle reazioni impulsive, nei dubbi mai sciolti di Elaine. Ma c'è anche il venir meno del ruolo educativo dei genitori, adulti che non rappresentano più modelli positivi, semmai il contrario. E non mi riferisco solo alla signora Robinson.
Cinquantasei anni dopo, “Il laureato” resta un film freschissimo, tremendamente attuale. Certo, in qualche cosa il linguaggio è cambiato dal 1967 a oggi, e non in meglio. Quei bisticci linguistici, quelle continue contraddizioni e ambiguità rappresentano forse uno degli aspetti migliori del film di Nichols. Perché se il laureato protagonista non segue propriamente una moralità retta, almeno ne fa emergere tutta la problematicità attraverso le discussioni che porta avanti con l'esperta amante, quando si confronta con la madre, o anche solo nel fatto che gli incontri fedifraghi si svolgano al buio. Il silenzio della donna è l'imbarazzo dell'immoralità.
Le parole, ridondanti, confuse, distanti dal vero, dicono tutta la difficoltà di una generazione che si trova sperduta soprattutto per via di adulti troppo accomodanti, cialtroni, incapaci di imporre una regola. Dustin Hoffman galleggia nella sua piscina e i genitori sono quasi in imbarazzo nel chiedergli un cambiamento. In qualche modo, il suo percorso di maturazione deve scontrarsi con gli errori più abnormi per indirizzarsi infine sulla strada della normalità, del sentimento vero, non quello che scaturisce soltanto dalla noia.
Ma quando Ben trova l'amore, gli adulti (e in particolare i genitori di Elaine) non ne assecondano il progetto di vita. Tutt'altro, lo ostacolano per soddisfare invece la loro personale sete di vendetta, ognuno per i suoi motivi. Nel peregrinare del ragazzo alla ricerca dell'amata si rappresenta tutta la disperazione di una generazione che, godendo di troppa libertà e benessere, si trova a disprezzare ogni cosa, quasi a non saper che cosa fare, ma arriva dopo innumerevoli errori a scoprire il valore dei desideri profondi. Trova quindi l'energia, attua una piccola ribellione pur di realizzarli.
Il piccolo Dustin è quasi fastidioso nelle sue smorfie attonite, volutamente piatte, inespressive. Un bamboccione che alla fine trova la sua forza interiore, nonostante dei genitori così. Katharine Ross rappresenta bene la dolcezza senza malizia di Elaine, così come la Bancroft è memorabile nei panni della donna incattivita, la bisbetica che vive nello sfarzo ma anela a un nuovo, vigoroso piacere carnale.
La regia costruisce gabbie prospettiche e visioni alterate, per ricordarci le prigioni invisibili in cui sono costretti i personaggi, per sottolineare la vita quasi allucinata dalla noia di un giovane rampollo di buona famiglia. Bello quando la porta si apre e tra i due volti dei giovani compare quello austero e malefico della singora Robinson. Per non parlare della sensuale gamba della donna in primo piano che sovrasta la figura di Ben, come inchiodandolo alla logica del piacere fisico.
Una colonna sonora memorabile di Paul Simon che colora di malinconia le vicende (ma verso la fine anche di euforia), mentre l'Alfa Romeo Duetto sfreccia per le strade d'America. Non marginale la vena comica e ironica che pervade gran parte delle scene. Perché siamo ormai in un mondo cialtrone, troppo leggero, superficiale, apparente. Non c'è vera catarsi. L'amore e la società sembrano piuttosto una farsa, ma di mezzo c'è pur sempre la vita vera e i sentimenti di ciascuno, anche se non si direbbe.
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