Miles Davis vanta probabilmente una delle discografie piú belle della storia della musica; ma da buon zoticone rocchettaro, amante della chitarra e delle distorsioni quali sono, il cosidetto „periodo elettrico“ ha sempre avuto un posto paricolare nel mio cuore.

Reso famoso da album come "In a Silent Way“ e "Bitches Brew“, raggiunge il culmine per me peró nei live, dove la libertá e l´improvvisazione raggiungono i massimi apici, trasformando i concerti in veri e propri rituali a sfondo psichedelico, durante i quali lo "stregone oscuro“ e i suoi discepoli ammaliavano ed ipnotizzavano il pubblico con prestazioni che sfioravano l'ultraterreno.

Registrato il 30 marzo 1974 alla Carnegie Hall di Nuova York, per una durata di poco superiore ai 100 minuti, questo doppio ci regala una delle prestazioni piú grintose, energiche e tribali del trombettista, che decise di sfoderare per l´occasione una formazione dotata di ben 3 chitarre elettriche e di lasciare ampio spazio all´aspetto percussivo (d´ispirazione africana) e, in generale, alla sezione ritmica; fattori che non fanno che accentuare l´aspetto rituale-sciamanico dell'esecuzione. Quest'opera é nota anche per essere stata inserita, nel luglio 2001, dalla rivista musicale inglese Q nella sua lista dei "50 Heaviest Albums Of All Time“ (potete contemplare qui la classifica completa); lista che lascia (tralsciando poi in partenza la pochezza e vacuitá alla base delle classifiche musicali in generale, soprattutto in ambito giornalistico e se con titoli altisonanti come "Of All Times“, tra l'altro senza manco limitarsi ad un solo genere) in generale abbastanza perplessi e sembra piú un miscuglio casuale di album estratti a sorte. Non potendomi mettere nei panni dell'ascoltatore (di jazz o meno) medio non voglio troppo sbilanciarmi, ma dubito che l´utente DeBaseriano standard rimarrá particolarmente impressionato dalla durezza di quest´album; ergo agli amanti delle sonoritá piú pesanti ed estreme consiglio di non farsi troppe illusioni, rischiando poi di rimanere delusi se speranzosi di trovarsi davanti ad una sorta di "Reign in Blood“ o "Cop“ del jazz (per rimare in ambito di album a cui questo viene paragonato in classifica) e a cui consiglio magari di rivolgere le proprie morbose attenzioni ai Painkiller del buon Mastro Zorn. Ben piú appetitoso risulterá invece l´ascolto per chi ama particolarmente il rock psichedelico o il progressive piú radicali e liberi, in quanto in tal caso le vostre orecchie vogliose troveranno di che saziarsi.

Tirando le somme trattasi dell´ennesimo disco di altissima qualitá sfornato dal nostro, tra l´altro in uno dei suoi periodo piú fecondi e ispirati (il decennio 65-75), sulla falsariga di capolavori come "Live Evil“, "Agartha“ e "Pangaea“, quindi gli appassionati che ancora non dovvessero conoscere l'opera in questione possono mettersi il cuore in pace e mano al portafoglio; a tutti gli altri invece non posso che consigliare fortemente di cominciare ad approcciarsi a questo fenomenale artista, anche se magari l'opera in questione, perlomeno per orecchie abituate ad ascolti meno impegnativi, non presenta certo la piú facile delle introduzioni.

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