"In a silent way" di Miles Davis si può considerare come la premessa di quell'album di "rottura" che fu il doppio "Bitches Brew" nel lontano 1969. Se "Bitches Brew", che tra le altre cose apprezzo molto, ha un'allure più appariscente da un certo punto di vista, "In A Silent Way" è un grandissimo disco in cui l'intensità delle composizioni è sempre controllata, razionale, è un "correre quietamente".

E' un album che, nonostante presenti l'ingresso di nuovi strumenti come il piano e la chitarra elettrica e l'organo hammond, rimane comunque abbastanza distante dalla fusion che si svilupperà negli anni a venire, più ritmica e intrisa talvolta di funk e ritmi africani (come "Bitches Brew"). "In a Silent Way" è caratterizzato da due composizioni chilometriche (18 minuti) che vedono una alternanza di crescendo e diminuendo, di passaggi tranquilli e di impennate improvvise ma sempre controllate; vi è una ricorrenza di temi, e la struttura compositiva, che sembra "circolare", rimane in mente senza difficoltà. Molto pacato e poco virtuosistico, crea un'atmosfera che sa quasi di magico e di "attesa", un clima secondo me molto psichedelico in alcuni punti. Mio papà l'ha definito "la versione jazz dei Pink Floyd". Non so se tutti concorderanno su questa affermazione, ma la trovo veritiera.

Suonato da grandi musicisti, tra i quali Chick Corea e Joe Zawinul, è un disco che nel suo incedere apparentemente "quieto" (donde il titolo) è a tratti "nervoso" e molto stralunato. La nuova strumentazione dona maggiore profondità sonora, ma le dinamiche e il mood rimangono puramente "jazz", nel senso di improvvisazione, libertà e limite allo stesso tempo, armonie complesse.

Mi è piaciuto fin dal primo ascolto, e vi sembrerà strano che, dopo aver ascoltato album di psichedelia, progressive, e fusion alla Weather Report, questo disco di quasi quarant'anni fa mi è sembrata una ossigenante boccata di aria fresca, qualcosa di nuovo.

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