Qualche anno fa, conoscendo la passione di mio padre per Mina, decisi di regalargli un suo CD; dovendo scegliere quasi alla cieca puntai su questo album un po' perché Jannacci non mi era mai dispiaciuto, un po' per la copertina, con quell'intenso ritratto che è finito per diventare un'icona per la cantante, un po' perché il primo brano della raccolta si chiamava proprio come mio padre. "Rino" finì per sorprendermi ed ha rappresentato il primo motivo per cui mi sono profondamente appassionato a questo lavoro di Mina, probabilmente la sua collezione di reinterpretazioni più coerente e riuscita. La canzone in questione, breve recitativo che descrive i pensieri di un uomo che con la mente torna al momento della separazione dalla propria casa materna (sì, materna, e chi conosce "Rino" comprenderà benissimo il perché di questo attributo), è già di per sé un capolavoro: da un sussurro nervoso, la voce di Mina si distende su toni più sognanti, fino ad una meravigliosa apertura dove a gran voce la cantante declama la raccomandazione della madre, "Rino, fatti volere tutto il bene che a me non hanno voluto". Straordinario è anche l'arrangiamento orchestrale di Gianni Ferrio, che giunge a sottolineare con grande partecipazione questo climax, fino a spegnersi su quel "Mamma, ti saluto" che Mina accenna quasi con voce insicura.
Si tratta sicuramente di uno dei vertici espressivi raggiunti dalla cantante, complice anche il fatto che con Jannacci Mina condivida la propria crescita musicale (non è un caso che entrambi abbiano cominciato con il rock'n'roll nostrano) e, soprattutto, la propria origine geografico/culturale. Si tratta, infatti, di un'espressività che ha un carattere tutto lombardo, con quel qualcosa di trattenuto, di detto solo fra le righe, che altrove viene sempre frainteso per freddezza. E l'album conferma questa dote di Mina, la profonda sintonia che si instaura con il materiale del suo autore, traendone interpretazioni che lo stesso Jannacci ha avuto modo di riconoscere come superiori alle proprie. Succede, ad esempio, in "Vincenzina e la Fabbrica", spaccato sull'Italia del boom e una sua probabile protagonista, l'operaia nell'hinterland milanese. Al brano viene regalato un arrangiamento jazz piuttosto soffuso, dove la voce Mina e quella sensazione che stia cantando leggermente fuori tempo rendono alla perfezione lo stupore estatico di Vincenzina davanti la fabbrica (eh sì, una dizione che impose proprio la cantante a Jannacci laddove l'originale vorrebbe "Vincenzina davanti alla fabbrica"). Succede anche che "La sera che partì mio padre" si rivesta di una tale pacata drammaticità che bisognerebbe avere una pietra al posto del cuore per non commuoversi.
Ci sono poi le storie dei "poveri cristi", disegnate (è proprio il caso di dirlo) con realismo e maestria, come nelle versioni di "Tira a campà" (già nella colonna sonora di "Pasqualino Settebellezze"), "Vita vita" e "E l'era tardi", mesto valzer dove ritorna la figura di Rino, questa volta tampinato da un amico beone che cerca un facile prestito, unico episodio dove Mina e Jannacci duettano, la prima cantando con piglio stanco il testo in dialetto milanese, il secondo in un veritiero intervento parlato, con l'impressione di trovarsi in uno di quei cortili che rappresentavano la vera architettura popolare dell'area milanese fino agli anni '60-'70. E sempre con uno sguardo alla cultura popolare sono incluse nella raccolta "E sa ve'" e "Sfiorisci bel fiore", che nell'interpretazione quasi scarna conferita dalla cantante suscitano reminescenze che fanno stranamente pensare a certe cose di "Desertshore" di Nico.
Non tutto, però, si tiene su toni drammatici, tanto che una versatilissima Mina si lancia anche nella divertentissima interpretazione di "Saxophone", con vocalizzi fra il sexy e lo svampito e il famoso ritornello liberatorio e sguaiato al punto giusto. Curiosa è anche la scelta di terminare un album tanto delicato con un brano energico come "Ecco tutto qui", con tanto di assolo di chitarra e un'interpretazione in linea con la vocalità di Mina alla fine degli anni settanta (si può, in tal senso, proporre anche un paragone con le registrazioni della sua ultima performance dal vivo, risalente all'anno successivo a quest'album).
"Mina quasi Jannacci" è la testimonianza del periodo forse più maturo ed intenso della lunga carriera della signora Mazzini; sicuramente un lavoro in cui il suo animo si mette a nudo, rendendo un omaggio preziosissimo ad uno dei più validi cantautori milanesi.
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