L'hype è un po' come la pubblicità l'importante è che se ne parli, bene o male non importa, ma in misura tale da suscitare curiosità e generare il passaparola. In pratica quello che è avvenuto per l'ultimo disco dei Ministri che vede il ritorno con la Godzillamarket il ritorno ad una label indipendente.
E io sono un essere curioso per natura.

Devo ammettere che partivo con un certo scetticismo nei confronti della band milanese accompagnate da sospetti sul fatto che dal poco che conoscevo potessero essere tendenzialmente una di quelle band rock che mancavano di spunti veramente interessanti e con suono che si faceva troppo sedurrre da sirene mainstream rock.

“Per un passato migliore” però mi fa ricredere: un disco essenziale, diretto e un po' scaltro nell'alternare canzoni più graffianti ad altre più easy listening ma godibile e che non stanca facilmente. E vi ritrovo quella energia che infrange i sospetti legati a qualche episodio più melodico diluito nel calderone.

Se l'opener “Mammut” apre in maniera pirotecnica l'album, le cose cambiano un po' con il singolo “Spingere” e la ballad-rock “Pista anarchica” che mostra quel lato più accondiscendente di cui si parlava in precedenza.

Sicuramente il trio dà il meglio di sé quando alza i ritmi come nel ritornello al fulmicotone de “Le nostre condizioni”, in “La nostra buona stella” buon connubio di orecchiabilità e potenza e “Mille settimane” l'apice dell'opera che merita due parole in più. Qui i Ministri osano di più, buon testo legato al rapporto uomo-tempo, ma sopratutto ottima interpretazione mai così urlata e sentita di Davide Auteliano supportata a ruota dalla chitarra di Federico Dragogna e dalla batteria di Michele Esposito. Ecco auspichiamo che per il futuro queste linee vocali ancor più ruvide trovino maggior spazio, senza voler adesso sottovalutare la prestazione vocale di Divi in gran forma.

Come ogni buon disco di hard-heavy-rock che si rispetti non mancano i momenti per tirare un po' il fiato e qui non si fa eccezione con le dolci “I tuoi weekend mi distruggono”, “Se si prendono te” (probabilmente la migliore delle tre) e il finale dalle tinte medievali di “Una palude” che a conti fatti vista la precedente “Pista anarchica” questa volta evitano il rischio di confenzionare melodie troppo smaccatamente pop.

E ora siamo pronti a tirare i remi in barca, a chiudere i pugni ed unirci al grosso felino in copertina per cercare di farci forza e strada in questo cazzo di mondo che è una ripida savana piena di insidie dove prevale la legge del più forte e combattere per la sopravvivenza.

“Ma uno di noi si sbaglia uno di noi schianterà con la stessa forza e con la stessa rabbia...”

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