“Se pensate che sul cancro sia stato detto tutto la Engelberg vi farà cambiare idea. Questo libro è così triste, divertente e coraggioso, onesto e coraggioso che non riuscirete più a metterlo giù.” Harriet Lerner

Ci sono fatti nella vita di una persona che rappresentano una sorta di punto zenith di non ritorno. Un evento emotivamente “forte” come un lutto improvviso di un parente prossimo, un incidente, un licenziamento sul lavoro o altro possono significare qualcosa di talmente importante per cui “la vita non può più essere quella di prima”.
Che lo si voglia o no.

Miriam Engelberg aveva un marito, due splendidi bambini e un lavoro che la soddisfava in pieno. A 43 anni però le diagnostricarono un cancro al seno.
Di fronte a un fatto così sconvolgente, ognuno può reagire in mille modi diversi come buttarsi in depressione oppure affidarsi ciecamente alle cure mediche pendendo dalle labbra del proprio dottore.
Miriam ha deciso di reagire scrivendo questo “Il cancro mi ha reso più frivola” (Tea edizioni) una specie di “diario a fumetti” di questo suo periodo-nero, sforzandosi di affrontare la cosa con quel leggero distacco che le permette di essere più oggettiva di fronte al tema e permettersi il lusso di sorridere (addirittura) di certe situazioni che di comico hanno ben poco.
Ed è proprio il contrasto tra il dramma e la comicità di certi passaggi alla Woody Allen che rendono questa lettura davvero irresistibile.

Con un disegno elementare (quasi infantile e innocente al tempo stesso) si parte quindi dalla notizia appresa, dai dubbi sulla veridicità delle lastre, dalle prime cure di radioterapia frammentata ai “problemi” tipici femminili della scelta della parrucca (per nascondere la calvizie dovuta alla chemioterapia) alla nausea, il sesso col partner che la vede come una “malata” ai parenti che la compatiscono e via di seguito per tutto l’iter che ognuno si può ben immaginare.
Tutto spietatamente descritto con una lucidità che mette anche imbarazzo, in quanto ci fa partecipe di ogni suo dubbio o crisi (parlando anche di Dio, dei figli che saranno presto orfani e della tentazione di suicidarsi).
Si pensa, si ride, si soffre e ci si dispera per la grande sensibilità che un fumetto di questo tipo riesce a comunicarci, in maniera disarmante e vera.

Dirà l’autrice, prima di morire nell'ottobre 2006: “Penso al mio libro come a un testo che parla di vita, di malattia e di morte e la strada dello humor penso sia la cosa che lo rende più facile e umano”. Parole sante.
Mi spiace che molti siano prevenuti sul "fumetto" in generale ma libri così (si, avete letto bene "LIBRI") è davvero riduttivo definirli “semplici fumetti”.

Leggere per credere.

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