E' come se i Modena fossero passati al lato borghese della sinistra, come i miei professori.

Si, proprio quello che ora è impantanato e che ha sempre la puzza sotto il naso.

Ma signori, così non va bene! 

Insomma, nel corso degli anni questo simpatico gruppo si è evoluto, ha cambiato cantante, ha cambiato genere musicale e forse persino ha cambiato messaggio.

Eh si, perchè ora secondo me non ci troviamo più davanti a un gruppo "Combat Folk" di comunisti incazzati. Ora ci troviamo ad ascoltare un gruppo vecchio, che suona musica più evoluta (nonostante l'impronta Folk sia ancora predominante), che dice cose diverse. 

Se mai i Modena City Ramblers hanno cercato di cambiare qualcosa o in ogni caso di far valere le proprie idee con la musica, ora hanno smesso di fare pure questo. E io sono deluso.

"Onda Libera" è un disco piacevole, per carità, ma che non riesce a dirmi nulla. Tutte le canzoni, eccetto forse la title-track, che ricorda i vecchi MCR, sono lente e senza senso. Certo, chiunque è in grado di capire che il gruppo protesta contro le morti bianche ("Ballata della dama bianca"), i pregiudizi nei confronti dei ROM ("Figli del vento") e la situazione pessima della sinistra italiana ("Il naufragio del Lusitania"), ma non è questo linguaggio così pieno di metafore e così pacato che uno si aspetta. Sono bravi tutti a lamentarsi.

Comunque, a parte le idee politiche, le musiche sanno veramente di vecchio e stantio, un pò come la muffa.

Ormai hanno fatto il loro, è ora di ritirarsi.

Elenco e tracce

01   Onda libera (03:45)

02   Libera terra (03:02)

03   Valzer chiuso in soffitta (03:50)

04   Il naufragio del Lusitalia (03:19)

05   Figli del vento (03:30)

06   Il mulino e il tuo giardino (03:48)

07   Di corsa (03:22)

08   Prigioniero di chi? (05:38)

09   C'è tanto ancora (03:11)

10   Libera mente (03:50)

11   Ballata della dama bianca (05:02)

12   L'uomo nell'alto castello (06:04)

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Altre recensioni

Di  necroclerico

 Altro che combat folk e resistenza, qui da combattere c’è solo l’impulso a passare al più trucido “Califfo” per resistere.

 Il fondo penso si tocchi decisamente con “C’è ancora tanto”: la dimostrazione di come si possa confezionare uno strumento di tortura sonoro.