"Sin/Pecado" è uno degli album più controversi della carriera dei Moonspell, musicisti portoghesi, amati e osannati volta per volta da schiere di fans sempre più accalorati, come, del resto, detratti e ignorati da certi puristi "del genere" che intendono la musica in maniera unidirezionale e statica, senza considerare l'evoluzione che certi generi subiscono, e la necessaria maturità artistica dei musicisti che, è talmente logico da risultare vergognoso scriverne, compongono a seconda del momento, delle circostanze, e della diversità di vedute, rispetto ai tanti aspetti della vita e dell'arte.
I Moonspell, in tal senso, con il loro egocentrismo, non hanno fatto altro che seguire un cammino evolutivo e complesso che, li ha portati, volta per volta, ad evolversi in ambiente avant-garde, per poi ritornare sui propri passi, per poi evolevere nuovamente. In tutto questo balletto di andirivieni sonori, ci sono stati lavori più meritori degli altri, non c'è dubbio, ma ogni lavoro, per controverso che possa essere stato, contiene in sé i germi di una intelligenza e di una classe certamente inimitabile.
Da "Wolfheart" e "Irreligious" con la loro cupa e catastrofica macchia di cinismo mista ad un paganesimo che tanto ha a che spartire con la tradizione puramente mediterranea, a lavori come "The Butterfly Effect" o, nello specifico questo "Sin/Pecado", che ribadiscono e portano a livelli orecchiabili e melodici le attitudini depresse ed intimiste della band. "Sin/Pecado" è stato da sempre considerato l'album "della svolta", con alle spalle il primo periodo caratterizzato precedentemente da "Irreligious" e successivamente da "The Butterfly Effect"; e il cambiamento è subito lampante e chiaro come il sole: niente gorgoglii e assalti feroci alla baionetta, niente atmosfere sulfuree di foreste notturne, ma, semmai, la descrizione dei caratteri e del folclore mediterraneo bruciato dal sole. Come cinque cantastorie lusitani, i Moonspell pubblicano quì la loro parte più chiara che delimita perfettamente l'appartenenza tribale della band.
Canzoni come "Handmade God", "2econd Skin", e la meravigliosa "Abysmo", fanno da cornice ad un'ispirazione fuorviante che ha ceduto il passo ad un'alba cocente e tradizionale, rispetto ad una notte scura e impenetrabile dei primi lavori. Melodie a profusione, synth, voci suadenti, cori e spunti di EBM calcano su concetti introspettivi e, a quanto pare, lontani tra loro: la morte, la sensualità, la solitudine, l'ansia ed il male di vivere. Non mancano neppure gli episodi visionari e allucinati, come la stessa "Magdalene" dimostra, e "Mute" ribadisce, con il suo coro insistente ed il legame aulico, mistico, con la terra che vincola l'appartenenza di Ribeiro e soci alle lande bagnate dal Mare Mediterraneo. Occorre saperlo ascoltare quest'album, che concede ampi spazi di discussione, che ha suscitato polemiche e commenti acidi, ma, per quanto mi riguarda, lo considero come un piccolo gioiello che poco ha a che fare con la produzione generale della band, ma che porta tra le sue piaghe, una dose massiccia di fascino e, oltre tutto, è molto ben curato nei dettagli e nella produzione impeccabile.
Di certo, non un album da pogo, non di certo un claustrofobico stilema gotico, ma l'originalità, io ne sono convinto, passa anche da quest'album.
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