"La mia più grande paura è che, se ti lascio andare, tu mi raggiungerai nei miei sogni" (Mark Sandman)

"Good" (1992) nasce come un idea assolutamente innovativa: creare rock partendo da una base strumentale jazzistica e tenendo conto degli insegnamenti dell’avanguardia musicale. E allora ecco un basso, una voce baritono, un sassofono ed una batteria che si incontrano nel posto giusto al momento giusto. Non che l’unione di tali strumenti mi faccia gridare al miracolo (sono ancora scosso dalle lunghe improvvisazioni visionarie di Ornette Coleman al sassofono, accompagnato da DUE contrabbassisti e da un batterista); ciò che mi stupisce profondamente è piuttosto la coesione dei suoni che i Morphine sono riusciti a creare. Nonostante la struttura ”minimale” del complesso, i suoni si accavallano e si inseguono in infiniti rivoli cosmici, avvolgono l’ascoltatore dentro soffici lembi quasi come riescono intere orchestre da 50 e più elementi. Potenza della passione? Virtuosismo? Forse solo sentimenti.

Le soffici frasi dello slide bass di Mark Sandman e la sua voce avvolgente si sposano perfettamente alle note del sassofono di Dana Colley; sembrano due farfalle si inseguono su un campo fiorito. La batteria minimale e mai invadente di Jerome Dupree accompagna questi due virtuosi del sentimento.

Infinita la profondità del loro sound, quasi ci si perde in un vortice di suoni essenziali. Se Terry Riley su A Rainbow In a Curved Air riuscì a sorprenderci e a farci volare grazie a pochi sintetizzatori, sfruttando invenzioni armoniche ardite e strutture musicali da capogiro, i Morphine, con uno stratagemma rubato al jazz, riescono a sopraffare l’ascoltatore e a sorprenderlo grazie a piccolezze armoniche che vanno ad intaccare la struttura del brano senza mai stravolgerla: una voce sussurrata in crescendo, una nota di sassofono leggermente più decisa delle altre, un giro di basso ripetuto all’infinito ma sempre più accattivante. Armonicamente i brani sono piccole opere di impressionismo musicale, in cui bastano piccole e semplici picchettate di pennello per dare un senso globale all’intera esperienza auditiva. Nella loro semplicità ed efficacia si nasconde una sorprendete difficoltà formale compositiva. Non ha dunque senso fare un confronto accademico tra i Morphine e Terry Riley a livello strutturale, ha senso collegare due esperienze apparentemente distanti ma formalmente simili.

Le linee di basso che accompagnano l’ascoltatore durante tutto il disco sono sorprendentemente armoniche, riempiono con poche note tutta la nostra immaginazione musicale, tanto che la voce di Sandman potrebbe risultare addirittura superflua nel dare l’effetto armonico di accompagnamento ai vari brani. Infatti la sensazione di fondo è che non sia la voce ad essere il solista, bensì il sassofono di Colley, che interviene sporadicamente per muovere lievemente le carte in gioco quel poco che basta a sconvolgere la percezione dell'ascoltatore. In The Ascension del 1981 il signor Glenn Branca riuscì a sconvolgere i ruoli dei vari strumenti musicali tipici della formazione rock, portando addirittura la batteria ad essere il solista del brano e la chitarra distorta ad essere uno strumento ritmico. Nel 1990 i Morphine sembra che riescano addirittura a salire di un gradino, portando la voce ad essere uno strumento armonico e promuovendo brevi interventi di sassofono come solista.

Le liriche sono poesie iperealiste, interpretate magistralmente dalla voce baritonale di Sandman. Le tematiche spaziano tra fatti realmente accaduti, passioni travolgenti, istinti primordiali, dichiarazioni d’amore e riflessioni visionarie.

In "Good" viene trattato l’amore irresponsabile, utilizzando suoni monotoni e quasi monosillabici. Fa riflettere come le melodie vocali vadano perfettamente ad integrarsi al giro di basso; sembra quasi che l’amore cantato da Sandman non sia altro che l’argomento principe di una situazione raccontata da tre note di basso che descrivono il luogo e il tempo in cui sono avvenuti i fatti.

In "The Saddest Song" siamo accolti da un cielo nuvoloso e da un uomo che ci racconta del ricordo di un amore. Non potremmo che aspettarci l’ennesima canzone patetica, invece “La Canzone più Triste” è un crescendo di emozioni dolce e cadenzato, mai tragico. Recitano le liriche: “Ho fatto un incidente nella notte, due mondi hanno colliso, ma quando due mondi collidono nessuno sopravvive”. Non avevo mai sentito parole così profonde per descrivere il cosiddetto colpo di fulmine. Quasi non ci si rende conto del semplice giro di triangolo di Dana Colley, che integra la sezione ritmica durante tutto il brano. Nelle riproposizioni live di The Saddest Song infatti Dana Colley suonava solo il triangolo.

"Claire" è attraversata da un ritmo sincopato della batteria, su cui si affaccia talvolta qualche breve frase blues di sassofono armonizzata da un instancabile giro di basso che ripete le note cantate da Sandman. Sembra di perdersi tra spartiti musicali a tre voci mai contemporanee (tranne nel ritornello, sassofono e voce non si incrociano mai) che riescono a rendere un'idea paesaggistica d’insieme calda ed affascinante. Stupefacente l’armonizzazione di sassofoni dopo il secondo ritornello.

In "Have a Lucky Day" i Morphine dipingono, tramite poche note allungate a dismisura, l’atmosfera che si respira nella peggior bettola del mondo. Le liriche sono estremamente crude nella loro formale perfezione, dato che il tema del brano non è altro che il baratro caotico di emozioni che prova un giocatore d’azzardo. Sembra strano, ma pensandoci bene la voce di Sandman durante il ritornello (“I giocatori vincono e i vincitori giocano, che tu abbia un giorno fortunato”) sembra quasi parodistica.

Il brano più movimentato del disco è "You Speak My Language". Confrontando questo brano con gli altri dodici presenti nel disco, sembra di ascoltare un pezzo da discoteca. Molto interessante il flusso di coscienza espresso da una voce filtrata che grida frasi incomprensibili.

Segue "You Look Like Rain", pezzo coinvolgente e d’infinita classe. Che l’attrazione fisica possa essere riassunta dicendo “Posso dire che hai il gusto del cielo perché assomigli alla pioggia”? Pioggia improvvisa in un cielo nuovoloso: forse è proprio questa la metafora adatta a rappresentare le sensazioni che istantaneamente si provano quando si è attratti fisicamente da qualcuno. Questa non è una canzone d’amore: il testo sembra tirar fuori parole poetiche alla rinfusa per far colpo su una persona. Piuttosto questa è una delle canzoni più umane che la storia del rock annoveri.

"Do not Go Quietly Unto Your Grave" è un brano cadenzato, movimentato, attraversato da suoni ripetuti e talvolta improvvisi. Meraviglioso l’assolo blues di Dana Colley. Positivissimo il significato del brano: “Sentite giovanotti, ho 74 anni e punto a viverne altri 60 o 70 [...] Ho imparato qualche trucchetto e ne imparerò qualcun altro ed ho ancora abbastanza proiettili per combattere una piccola guerra”.

"Lisa" spezza il disco in due, quasi come se i Morphine volessero farci riprendere fiato. Dal nulla nasce un sentito assolo di sassofono. Assomiglia ad una formica che si divincola all’interno della tela di un ragno, a cui non resta che la disperazione di aver perso il terreno sotto i suoi piedi e la paura del futuro. Che si tratti di un’amore irrazionale e travolgente? Fatto sta che nei ringraziamenti del disco viene citata una certa Lisa.

"The Only One" unisce le due anime di You Look Like Rain e di Do not Go Quietly Onto Your Grave. L’attrazione fisica viene espressa in maniera molto meno sistematica e molto più sanguigna.

"Test Tube Baby (Shoot’m Down)" sembra un brano minimalista, caratterizzato da piccole ma essenziali variazioni su un tema percussivo ed armonico ben definito. La cosa che più colpisce è il coinvolgimento emotivo del cantante, espresso da un climax vocale impressionante.

Su "The Other Side" veniamo trasportati in un luogo oscuro, attraverso suoni notturni ed un’interpretazione da Oscar di Sandman: è facile riconoscere nelle liriche del brano le parole che si potrebbero sentir dire da un credulone, plagiato dall’idea di un fantomatico mondo migliore che si trova sull’altra sponda di un fiume.

"I Know You" è introdotta e accompagnata da un "tritar" distorto (chitarra a forma di Y basata su uno studio matematico relativo all’unione di differenti frequenze che, sommandosi, formano un suono particolare) e da un sassofono. Nella prima parte sembra che gli strumenti vogliano segnalare l’accadere di un evento particolare; chissà non si tratti di Sandman che incontra una persona che già conosce e a cui sussurra le dolci parole della seconda parte di questo bellissimo brano.

L’umanità di "Good" è incredibile; la sua finta semplicità plagia l’ascoltatore medio che non si sofferma sulle infinite sfaccettature di ogni brano.

Un disco che si situa nel baricentro di un triangolo pericoloso, ai cui vertici si trovano il rock, il jazz e l’avanguardia. Questo triangolo copre un'area di cento e più anni di storia della musica. "Good" dura esattamente 38 minuti e 14 secondi.
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