La prima volta che sentii parlare dei Motorpsycho fu circa dieci anni fa. A quei tempi il culto del giradischi era ancora ben vivo, in famiglia, e probabilmente avevo smesso da poco di far girare le sorpresine dell'ovetto Kinder sul piatto. Mio padre era solito tornare a casa e infilare qualche vecchio ellepì in quell'arnese, fiero della sua puntina Stanton "l'hopagataunocchiodellatestarompilaetipiglioacalciinculo". Cambiare lato assumeva poi le sfumature mistiche del rituale, tale era la cura che ci metteva. Il vinile era la reliquia.

Un giorno lui arrivò a casa con "Trust Us" sotto braccio. Personalmente, imparai ad apprezzarlo cinque o sei anni dopo, perchè era tutto troppo strano per un bimbetto che giocava ancora coi Lego. "Son quello che c'è di meglio in giro", diceva. Sangue del mio sangue, carne della mia carne.

ORA

Polvere. Anche mio papà ha ceduto di fronte all'impero del compact disc. Tuttavia pensa che scaricare mp3 possa rubargli l'anima, e ancora adesso ogni volta che deve mandare una mail mi chiama perchè mica ha capito tanto bene come si fa. Il giradischi è caduto pressochè in disuso, salvo le mie sporadiche incursioni nei fine settimana di ritorno a casa. Incantato come sono anch'io dalle nuove possibilità di fruizione usa-e-getta a rapidissima velocità e altalenante qualità.

Per questo i Motorpsycho sono stronzi. Si saran detti: "cazzo, noi nell'adolescenza andavamo avanti ad LP. Vogliamo farvi sentire cosa voleva dire ascoltare un Disco, con che spirito lo sentivamo". E allora, festeggiano il loro ventennale di attività con un disco pubblicato solamente in formato vinile (bianco!) con il solito bellissimo artwork di Kim Hiorthøy.

Testardi, di sicuro, in quanto di sicuro consapevoli del fatto che in meno di un'ora ci si può convertire un vinile in formato digitale senza troppe cerimonie. E si potrebbe anche tacciarli di autolesionismo, tant'è che un'operazione del genere allontana una gran fetta di ascoltatori occasionali e anche una piccola parte di fan sprovvisti delle attrezzature adeguate.

Inutile dire che è stato un acquisto a scatola chiusa, semplicemente per cieca fiducia nella ripresa del loro proverbiale tiraccio malefico, ripresa confermata in buona parte dal precedente "Little Lucid Moments" e dall'ingresso in pianta stabile di un batterista d'eccezione quale è Kenneth Kapstad, con l'incentivo della presenza dietro ai mixer di Steve Albini. E mi ritrovo di nuovo lì, davanti al "mio" vecchio giradischi, felice come il bambinetto che ero (che sono?).

Sorrido.

Ci ho sperato in un disco così, ed eccolo. Albini sviscera l'essenza stessa del sound dei Motor, qui dotato di una potenza che non veniva fuori da prima di "Let Them Eat Cake". Quaranta minuti tiratissimi, in cui sono basso -distorto, metallico - e batteria - semplicemente incontenibile - a portare avanti i pezzi, in uno stato d'intesa perfetta, mentre i lavori chitarristici di Snah trasudano ispirazione e risultano sempre godibili e mai in contrasto con quanto fatto dai compagni. Si passa dai momenti più pop della opener "The Ozzylot (hiden in a girl)" e della title-track, ai riff vagamente stoner a dir poco spaccaculi di "Riding the Tiger" e "Whole Lotta Diana", sicuramente i pezzi che regaleranno le maggiori gioie dal vivo, con il loro incedere da schiacciasassi e dei cambi di tempo continui che farebbero impallidire i tre quarti dei fantomatici gruppetti odierni che osano definirsi rock. "Cornucopia (or Satan...uh...something)" ricorda le atmosfere migliori e più cupe di "Black Hole/Blank Canvas" e "Mr. Victim", nella posizione solitamente lasciata al pezzo più debole di un LP (lato B, traccia 2) supera brillantemente la prova in quattro minuti di gran classe. C'è addirittura spazio per un pezzo acustico, unico momento di respiro, "The Waiting Game", collocabile nel classico filone delle registazioni casalinghe di Bent. Altra cosa che salta all'orecchio è la cura particolare riservata alle parti vocali, armonizzate in un modo che tradisce la loro passione per il progressive, cosa che a tratti farà forse storcere il naso a qualcuno (nella title-track si potrebbero trovare degli inquietanti scorci degli Yes, ma glielo si può anche perdonare...).

Rimane il fatto che questi tre signori al momento sono tornati ad essere il miglior power-trio in circolazione. E che il mio giradischi ora è un po' meno impolverato di prima.

Grazie, Motorpsycho.

 

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