Niente di nuovo sotto la luce del sole. Quale sole poi. Quel poco di luce che c'è oggi l'ho procurato io, viene fuori a fatica da dentro di me e me l'ha strappato questo album per cui già si sprecano gli "eh, ma non sono cambiati per niente, sono come venti anni fa". Già, sono come venti anni fa. Anche io sono come venti anni fa, solo che a differenza di allora oggi faccio i primi conti con l'età (solo quelli con l'età, di moneta non ce n'è, preferisco sempre il pagamento in natura) e mi concedo molto più facilmente alla malinconia. Loro, invece, sono proprio come venti anni fa e basta, con una soffiatina lieve e greve sulla patina di polvere ostinata e fiera, quella polvere che rende un oggetto unico, feticcio, ricompensa per tanti sforzi nella vita. Un alito, in fin dei conti, che non cambia nulla e non fa cambiare nulla.

Resterà impagabile questo pomeriggio domenicale in cui, come un dio qualsiasi, mi sono concesso all'ozio corporeo orizzontale da sofà, proprio per lasciare al cervello più zuccheri da bruciare. Dovevo ascoltare questo album. Volevo farmi raccontare una storia nuova, che sapesse di vecchio, che sapesse di me, che sapesse di ognuno di noi nel momento in cui abbiamo ascoltato per la prima volta le meraviglie violacee, le canzoni sventrate di Loveless chiedendoci cosa mai fosse quella musica così squarciata, eterea, distorta, claudicante, cacofonica, dolce, onirica, amorosa, personale nel senso più intimo del termine. Sono sicuro che ve lo ricordate quel momento. A me (e credo anche a voi) era sembrato che qualcuno mi avesse capito, anzi, a me era sembrato che qualcuno fosse riuscito a raccontarmi meglio di come avrei saputo fare io. Da allora in poi, zero. Sensazione provata una sola volta e basta. Mi scosse molto, ad essere sincero, mi procurò una sensazione di estasi interiore superiore a quella della prima volta che ho incrociato una donna.

Sapevo a cosa andavo incontro oggi. E' stato tipo un "dove eravamo rimasti?". Ed effettivamente ci eravamo lasciati proprio lì, il racconto sembra riprendere esattamente nel punto in cui si era interrotto. Sa di primo tiro di sigaretta domenicale, quello che ti fa risalire tutto ciò che hai ingurgitato e assunto la sera prima. E scatena dentro di te istinti primitivi e ancestrali, diretti ed immediati ma anche stroboscopici: ti fa stringere il cuore pensando a quanto sei stato bene; te lo fa venire duro pensando alle infatuazioni settimanali; ti uccide un po', solo un po', impanandoti nello spleen; non ti finisce e non finisce mai, prolungando per tutta la sua durata questo stato di trance da palpebra pesante che però non vuole saperne di chiudersi e che, come solo le migliori droghe sanno fare, è capace di farti dare uno sguardo su di te sotto tutti i punti di vista e sa come farsi riascoltare/reiniettare all'infinito. Un'ultima riflessione. Tutto quanto passato in questi anni dalle parti di questo genere musicale ed umano sta parecchie spanne sotto. In alcuni casi mi ha molto divertito. Ma ci sono maestri da cui i discepoli non potranno mai imparare fino in fondo, semplicemente perché non ci sono mai state lezioni. Ci sono alchimie possibili solo tra alcuni (in)determinati individui viventi sul globo. Loveless è unico ed irripetibile per tutti. Non poteva che continuare qui, regalandoci, credo, un aspetto di sé un po' più sornione.

Niente più niente meno che shoegaze. Niente più niente meno che My Bloody Valentine. Tanta roba, tanta felicità, tante tante lacrime di gioia.

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