I tempi di "Turn Loose The Swans" e "The Angel And The Dark River" sono ormai passati, scivolati via nel tempo come un fiume in piena. Anni in cui gli inglesi si erano imposti prepotentemente come una delle facce più interessanti, intimistiche e depressive di quel genere tanto abusato come il gothic/doom. La "Sposa" ha cavalcato l'onda di quei successi, partorendo lavori di ottima qualità, pur non riuscendo più a toccare le vette artistiche dei lavori prima citati. L'ultimo disco di una certa fattura fu "A Line Of Deathless Kings" e si deve tornare indietro al 2006. Poi sono arrivate produzioni scialbe, dischi melodrammatici e privi della solita carica decadente ("For Lies I Sire" e "Evinta" in particolare). Gli inglesi, con Stainthorpe in testa, sembravano aver perso la bussola.

Poi è arrivato l'EP "The Barghest O' Whitby" a diradare almeno in parte le nubi degli ultimi tempi. Infine, soltanto due settimane fa, ecco giungere "A Map Of All Our Failures", undicesimo album di inediti, pubblicato sotto l'egida della Peaceville Records. Tante aspettative, tanti dubbi ha portato con se questa nuova fatica. Il contenuto è lo specchio del momento non felicissimo della band, sebbene ci sia un riassestamento indubbiamente non trascurabile.

Una cosa bisogna dirla, a scanso di equivoci: non siamo di fronte alle brutture di "For Lies I Sire" e "Evinta" (disco che il sottoscritto continua comunque a ritenere "coraggioso" e "alternativo"). Il platter in questione è un onesto lavoro di doom metal, con qualche luce, qualche ombra e soprattutto la sensazione che gli anni stiano passando troppo velocemente per la Sposa. L'impressione è che i brani siano un po' troppo avvitati su loro stessi, infarciti di riff e minuti spesso inutili ai fini del risultato. Va detto che la coppia di chitarre Craighan/Glencross svolge un lavoro importante: le chitarre tornano ad essere le fondamenta del suono dei MDB, togliendo spazio ed importanza al violino di MacGowan, quasi un orpello di "cesellatura" utilizzato a riproporre un elemento che ha caratterizzato il passato degli inglesi. Stainthorpe sa il fatto suo, anche se appare meno incisivo e "teatrale" del solito, sfoderando un growl non perfetto in "Kneel till doomsday" e "A tapestry scorned".

Affidandosi molto ai riff delle chitarre, viene fuori un lavoro meno "arioso", incentrato su sequenze di riff lenti, evocativi, in pieno stile doom. Questi si segnalano anche per un rinnovato gusto melodico e quasi "easy" che si mostra in "The poorest waltz" e più in generale, in delle linee vocali più "semplici" ed immediate di quanto ci si aspetterebbe da Stainthorpe. L'opener "Kneel till doomsday" è il pezzo che più unisce queste nuove variazioni ai temi classici della band: una song che cambia più volte atmosfera, alternano momenti riflessivi a sfuriate simil death.

"A Map Of All Our Failures" è un cd che si inscrive in un particolare momento storico per il combo di Halifax: siamo su livelli qualitativamente maggiori di "For Lies I Sire", ma il discorso è sempre lo stesso. Un lavoro di questo tipo si lascia ascoltare, svolge benino il suo compito, ma da chi ha scritto e marchiato a fuoco il genere ci si aspetterebbe di più di un disco di "mestiere"...

1. "Kneel Till Doomsday" (7:52)
2. "The Poorest Waltz" (5:08)
3. "A Tapestry Scorned" (8:01)
4. "Like A Perpetual Funeral" (8:32)
5. "A Map Of All Our Failures" (7:50)
6. "Hail Odysseus" (8:54)
7. "Within The Presence Of Absence" (8:50)
8. "Abandoned As Christ" (8:36)

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