Mettersi in gioco con un disco solista è sempre un salto nel buio, ma è un passaggio che compiono ormai quasi tutti gli artisti nella loro carriera. Per Kennedy è arrivato quel momento dopo anni passati in giro prima con Mayfield Four, e poi trovando il successo (meritato) con gli Alter Bridge e Slash.
“Year Of The Tiger” è un concept album che ruota attorno alla figura del padre di Kennedy, morto quando questi era solo un bambino e che ha segnato la vita dell’artista. "Quando si ammalò, scelse di non cercare cure mediche e morì pochi mesi dopo. Io continuo a lottare con questa sua scelta che alla fine lo ha portato alla morte " dice Kennedy. Raccontare la “sua” storia era impossibile con gli Alter Bridge e l’artista ha deciso di farlo per conto suo, abbracciando una chitarra acustica e dando sfogo alla sua rabbia su stili diversi, ma ben amalgamati tra di loro. L’album suona blues, country e addirittura folk, senza mai scadere nel banale o nel ridicolo.
Kennedy si gioca subito la carta della title track, l’anno della tigre nel calendario cinese, anno in cui mori’ il padre. E’ uno dei pezzi più “potenti” e veloci dell’intero disco, dove l’artista esplora sonorità folk. Kennedy urla tutta la sua rabbia quando canta “The Great Beyond”, uno dei pochi pezzi dove l’ugola dell’artista viene sfruttata su note più alte. Nel blues di “Blind Faith” Myles si interroga sul perché si sceglie di seguire la fede con convinzione, come fece il padre. Significative le parole “You never compromise your faith But is it worth it in the end To never see my face again”. Impossibile non immaginarsi nel vecchio west quando parte “Devin On the Wall”, con il suo ritmo country sostenuto. Con “Mother” si omaggia il coraggio di una madre che non si è fermata dinnanzi alla tragedia, ma che anzi ha fatto di tutto per il bene della famiglia. “Love Can Only Heal" sfiora la perfezione. Un pezzo coinvolgente, emotivo. La voce è bassa, “sofferente”. Non importa il dolore, l’amore guarirà tutto canta Kennedy, l’assolo finale poi è stupendo. Chiudono il disco la solare “Songbird” e la speranzosa “One Fine Day”.
Un viaggio nella vita personale del cantante. Un album puro, genuino, sofferto. Chi si aspettava un disco stile Alter Bridge magari resterà deluso all’inizio, ma sono quasi certo che cambierà idea in un paio di ascolti. In conclusione non posso che elogiare questo debutto solista, augurandomi che in futuro il cantante ci regali altre gemme come “Year Of The Tiger”.
Carico i commenti... con calma