Neil Young è un nome dall'importanza storico-musicale indiscutibile. La duttilità e la versatilità di questo musicista, stanno nell'interessante passaggio musicale tra  il folk, il country, il rock e il blues, che egli, dotato di un ferreo stile chitarristico e di un peculiare timbro vocale, riesce ad arginare con estrema naturalezza ed abilità.

I prodotti musicali di Young sono stati moltissimi, alcuni osannati dalla critica e dagli ascoltatori, altri considerati come vera e propria spazzatura. Personalmente ho avuto il piacere di ascoltare tutta la sua discografia completa, ed ora mi sento libero di trarre le mie conclusioni sulle reali doti di questo artista tanto "polemizzato". Immerso nel mare dei lavori di Neil Young, mi sono perso nel fascino dei suoi primi pezzi country (come non citare "Old Man" o "Heart of gold"?) per poi passare ai suoi pezzi elettrici (tra i quali spicca la celeberrima "Hey hey my my") e ancora ai tempi dei "Buffalo Springfield" e soprottutto dei "CSN&Y".

Neil Young è un artista che produce la sua musica per se stesso ancora prima che per la gente, infatti egli mette tutto il suo cuore negli arrangiamenti, cercando l'alchimia sonora che meglio descrive ciò che vuole comunicare. Quando il musicista è triste, o comunque la sua opera vuole trasmettere questa sensazione, ecco che la chitarra passa dai melodiosi timbri del country, fino ad una distorsione cupa, quasi un onda anomala piena di echi tenebrosi, lacrime e arcane e confuse sofferenze. Allo stesso modo, la voce (già di per sé particolarmente adatta al blues e a canzoni tristi), diventa una lamentosa nenia confusa, un'invocazione, un pianto sommesso.

Questa impersonificazione totale, che varia enormemente a seconda delle circostanze musicali, non può che solleticare e appagare un amante di Nick Drake come me. Così, quando vedo che Neil Young suonerà a Verona, non posso fare a meno di dirlo a mio padre, che da giovane non solo ascoltava Young, ma andava in giro a coverizzare i suoi pezzi acustici. Ad Aprile abbiamo già i biglietti per lo spettacolo  che occuperà l'arena di Verona il 23 di Giugno.

Solo percorrendo i pittoreschi viali della storica città, ancora lontani dall'Arena, si può notare una forte atmosfera di fibrillazione. Molte bancarelle sparse un pò ovunque, vendono i gadgets della rockstar, e davanti all'Arena c'è una coda smisurata. Entriamo finalmente alle ore 21, ma prima del concerto, bisognerà aspettare la bellezza di un'ora e un quarto, durante la quale, dopo una breve esibizione di una band di giovani locali, parte una base musicale interminabile e interrotta dai fischi dello spazientito pubblico.

Finalmente Neil Young arriva.
Gli applausi si susseguono e si sovrappongono fragorosi nella fiabesca cornice dell'antica Arena di Verona, che si presenta come un meraviglioso anfiteatro, sapientemente illuminato da potenti fari, in modo da creare uno scenario adeguato ad una serata musicale di alto calibro.
Imbracciata la chitarra, Young parte con un lungo pezzo strumentale elettrico, un vero e proprio riscaldamento nel quale dimostra tutta la sua abilità musicale sulle sei corde. Passa poi a sfoderare i pezzi più famosi del suo repertorio folk, anche adiuvato da una band di prima scelta, nella quale per altro figura sua moglie Peggy. Nel corso della serata Young, passerà anche a toccare pezzi elettrici, fino ad arrivare ad una indimenticabile versione di "Hey, hey, my, my", brano che non mi aspettavo di sentire, in quanto voci di corridoio mi avevano informato che per rispetto non lo proponeva più nei live, dopo il suicidio di Curt Cobain (che scrisse una lettera d'addio con le parole di questa canzone).

Rimango a bocca aperta, quasi con le lacrime agli occhi, nel vedere un Neil Young(ormai sessantatreenne) destreggiarsi con una lucidità incredibile, passando da "Old Man", a "Long May You Run", fino ad arrivare alla rivisitazione elettrica dell'album "Chrome Dreams II". Nel corso della serata Young si cimenterà anche, con un encomiabile effetto sonoro, nell'organo (e parlo di un grosso organo, quasi "da chiesa"), suonando un evocativo pezzo chiamato "Mother Earth". Altro dettaglio è che, ad ogni pezzo che Neil Young suonava, si poteva vedere un artista che dipingeva dei pannelli.
Costui si chiama Eric Johnson, ed è un ottimo grafico, che improvvisa la pittura di "banner" a sfondi misti, inerenti le canzoni che sul momento suona la band di Young, man mano che l'esibizione va avanti. Egli posiziona poi i dipinti appesi ad un totem nel palco, e li mette in bella mostra come abbellimento di una già riuscitissima atmosfera.

Prima di salutare il suo pubblico, come mi aspettavo, Neil Young ci propone una cover. E di chi, se non del "Freewheelin'" Bob Dylan? E quale se non "All Along The Watchtower", suonata con una azzeccatissima base elettrica? Proprio una cover chiude una meravigliosa serata, che pure ha avuto aspetti negativi (fra cui annovero l'attesa spasmodica e la lunghezza eccessiva di alcuni pezzi "semi strumentali" elettrici). Ma, per come la penso io, avere visto Neil Young live è una esperienza che mi ha accresciuto profondamente, e l'attesa enorme, sommata ai 63 euro del biglietto, è stata ampiamente ricompensata dalla favolosa ambientazione del concerto, e dal 90% dei pezzi che Neil Young ha suonato.

Non dimenticherò mai "Old Man", e ho il vanto di avere sentito Neil Young suonarla, a poche decine di metri dalla mia sedia.
Grazie a tutti.


______________
Francesco

Carico i commenti...  con calma