Il rapporto tra Napoli e la musica elettronica è da sempre strano, un po' controverso. Infatti, se alcune band particolarmente rappresentative contengono innegabili influenze elettroniche nel loro sound (gli Almamegretta, i 24 Grana, gli ultimi 99 Posse), è anche vero che nel capoluogo partenopeo non si è mai sviluppata una scena simile e le incursioni in questo genere sono limitate ad alcune esperienze isolate (le sperimentazioni dei Retina.It o il bizzarro techno-punk dei Narcolexia).

Questo aspetto assume dei connotati ancora più singolari se si considera che da quelle parti nascono, nel corso degli anni Novanta, etichette come la Flying Records o la mitica UMM, label specializzata in sonorità da ballo per la quale hanno inciso anche artisti internazionali.

Eppure ogni tanto qualcosa si muove all'ombra del Vesuvio, consentendo a qualche anima pia di sparigliare le carte e portare novità nella città del sole.

Torniamo indietro di un ventennio, fino all'ormai lontano 2001. In quel periodo comincia a girare, soprattutto a livello locale, un video ambientato tra i grattacieli del Centro Direzionale (almeno credo) dove alcuni ballerini di break dance si esibiscono a colpi di freeze e powermove, accompagnati da ritmi sincopati di chiara ispirazione drum and bass, da un MC con le sue veloci rime in dialetto napoletano (LMD) e da un cantato raggamuffin in lingua inglese.

Il brano in questione è "Napoli Anthem", gli autori, invece, sono i Nevrotype, progetto formato dai DJ Wobi, Ambrò e Frankie B, personaggio di spicco della club culture campana che ha vissuto a lungo tra Londra e Milano.

Il pezzo ottiene una discreta visibilità e anticipa l'uscita di Visionetics, dato alle stampe nel 2002 dalla giovane Cinenova, correlata alla più famosa Cinevox Records.

Visionetics prova a trasferire il linguaggio della drum and bass a Napoli e nel farlo lo contamina con elementi etnici, con la passione per la cultura giapponese e con evidenti riferimenti all'hip-hop, presenti sia da un punto di vista verbale sia musicale.

Il disco esprime il meglio nella prima parte, in cui troviamo i momenti più rappresentativi del multiforme universo dei Nevrotype.

Già, perché Wobi, Ambrò e Frankie B non si limitano (si fa per dire) a programmare devastanti batterie arricchite da bassi sintetici dal sapore giamaicano, ma si dilettano nei campionamenti e nello scratch, dando al tutto un tocco assolutamente personale.

Come se non bastasse, i tre mostrano anche una certa insofferenza per le categorie e provano, a tratti, a variare il copione. È il caso del breakbeat/2-step di "Tokyo Divine", dove il suono del flauto trasmette piacevoli sensazioni zen, e di "Gange", sorta di hip-hop in salsa Bollywood pieno di sitar e voci rubate alla musica indiana.

Il resto scorre sui binari di una drum and bass matura, al passo con i tempi e ottimamente prodotta. "I Believe", ad esempio, mescola rigorosi pattern elettronici e caldi sample vocali dal sapore soul blues, mentre in "Nevrodroids" è addirittura la voce di KRS-One a fare capolino tra vinili "graffiati" e ritmi clamorosi, che faranno ballare anche i più acerrimi nemici del dancefloor.

Infine, merita una particolare attenzione "Turntable Otaku", ode all'arte del DJ che vede la partecipazione dei componenti del collettivo Men in Skratch, nel quale militava lo stesso Frankie B.

A questo punto penserete che tutto proceda senza intoppi, ma in realtà non è così. Le tracce cantate o rappate sono quelle che funzionano meno: le rime di LMD sono troppo rapide, concitate (i non napoletani diranno "poco comprensibili"); in "Mind and Soul" e nella conclusiva "Letters", invece, manca l'armonia tra parti vocali e musicali, cosa che provoca un effetto dissonante non proprio piacevole.

Il risultato, dunque, è altalenante e impedisce a Visionetics di accedere tra gli album da avere a ogni costo. Nonostante ciò l'esordio dei Nevrotype merita almeno un ascolto, perché cerca di esportare a Napoli un genere lontano dalla tradizione locale, colorandolo con sfumature particolari. Inoltre è apprezzabile il tentativo di realizzare un lavoro distinguibile, diverso dalle uscite internazionali alle quali, comunque, può essere accostato.

Insomma, recuperatelo, premete il tasto play e immergetevi in uno strano viaggio con tappe in Oriente, nei ghetti statunitensi, in qualche grigia metropoli inglese e nell'assolato Mediterraneo. Ne resterete, almeno in parte, soddisfatti.

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