La voce e il pianoforte come unici ingredienti per un lavoro che testimonia un periodo traumatico nella vita della ‘High Priestess of Soul'. Basterebbero le informazioni contenute nel titolo per recensire quest'album, una nube di emotività che si sprigiona unicamente sottoforma di piano e di voce. Ma come avrete già capito, sono qui per dirvi qualcosa in più.

Innanzitutto: non riesco a capacitarmi del fatto che un'opera di tale tasso artistico sia stata - e continui ad essere - inspiegabilmente ignorata, sia dalla critica che dal pubblico. Il disco fu pubblicato l'anno successivo all'assassinio di Martin Luther King, nel pieno dell'era dei diritti civili in cui la cantante era esponente di spicco. Forse fu proprio l'assenza di contenuti politici all'interno dell'album a spiazzare il pubblico e a far scoccare la scintilla di questa assurda indifferenza. La stessa autrice, in un'intervista rilasciata pochi anni prima di morire, aveva indicato nell'opera in questione la sua creatura prediletta. Lungi dall'essere una dichiarazione bizzarra o snobistica, le parole di Nina tradivano una sorta di incredulità di fronte a un insuccesso che non poteva dipendere da alcun aspetto qualitativo. In effetti, con tutto il rispetto per altri classici della discografia simoniana come ‘I Put A Spell On You' o ‘Sings The Blues', questo Lp ha una forza tutta sua ed è una forza superiore. Tuttavia, non ottenne mai il riconoscimento che avrebbe meritato e queste righe sono il mio modesto e accorato tentativo di rendergli giustizia.

Ho già accennato al fatto che la pubblicazione di ‘Nina Simone & Piano' coincise con una fase tormentata della vita dell'artista. Certo, non che in precedenza se la passasse troppo bene; la differenza di base sta nel fatto che, mentre prima la speranza in un miglioramento futuro l'aveva sostenuta e nutrita, ora erano la disillusione e lo sconforto a farsi largo e ad avere la meglio sulla sua sensibilità. Verosimilmente, l'episodio dell'assassinio dell'amico Martin Luther King fu il punto di non ritorno, fatto sta che dal 1969 Nina decise di abbandonare polemicamente la propria terra natia per inaugurare anni di peregrinazione che la porteranno a vivere a Barbados, Liberia, Svizzera, Trinidad, Francia, Olanda, Belgio e Regno Unito. Al di là della sconfortante situazione politica, Nina si preparava ad un ulteriore motivo di delusione personale, ovvero il divorzio dal marito nell'anno successivo. Insomma, nel caso in cui non si fosse ancora capito, ci troviamo nel bel mezzo di una crisi macroscopica, una crisi che nel più classico dei modi si avviava a sgretolare e a destabilizzare ulteriormente l'equilibrio esistenziale della cantante.

Niente di strano, quindi, se per sopravvivere a tutto ciò Nina Simone si affidò a quelle cose che non l'avevano mai tradita, quelle cose che le appartenevano da sempre, quelle certezze che delineavano i contorni della sua persona: la voce, che qui è presente al massimo delle sue potenzialità espressive; e il pianoforte, lo strumento che iniziò a suonare in tenera età, a quattro anni. Il risultato è l'album più intimo che l'artista abbia mai concepito.

Veniamo al dunque. Non c'è una band, non c'è una sezione ritmica. Non c'è il pericolo che una delle canzoni presenti venga utilizzata per pubblicizzare biscotti, automobili o quant'altro, in quanto lo spirito dell'opera è immediato e leggero ma non radiofonico. L'insieme dei brani sarebbe eterogeneo ma la maestria e l'autenticità interpretativa lo restituisce all'ascoltatore come la naturale espressione della versatilità di una sola anima, l'anima immensa e disadorna di Nina Simone. Jazz, blues, soul, diventano le sfaccettature di un unico percorso introspettivo che la cantante affronta con la pacatezza della solitudine e l'ausilio della poesia che ne deriva. La voce sposa i testi alla perfezione, con un equilibrio e un senso della misura fuori dal comune, tant'è che raramente la tensione emotiva del cantato va di pari passo con la tensione emotiva dei testi come in questa manciata di brani. Ci sono quesiti esistenziali, c'è la passione, il rimpianto, c'è l'incoerenza e l'ineluttabilità dell'amore, c'è spazio anche per l'ironia e la speranza. L'arte è applicata con semplicità all'analisi dell'animo umano, con un lirismo e una grazia tali da far filtrare al'esterno un amalgama inscindibile che è al contempo malinconia e appagamento. È un disco di classe, di quelli che non invecchiano, di quelli che ti scaldano e ti fanno sentire meno solo. Ascoltatelo guardando una pioggia autunnale, abbinatelo ad una serata di solitudine e accogliete quei pensieri nostalgici che normalmente siete soliti scacciare. Oppure suonatelo in dolce compagnia (è la colonna sonora ideale per fare tante di quelle belle cose...) al riparo dallo stress di tutti i giorni; ascoltatelo con il cuore e non potrete rimanere indifferenti.

Evito deliberatamente la descrizione dei brani in quanto mi sembra un'operazione superflua per un disco omogeneo come questo. E poi, ad esser sinceri, rischierei di dire una miriade di insulsaggini e quest'opera non le merita proprio. La durata è di poco più di 35 minuti, non è molto tempo e si tratta del miglior album di una delle più grandi voci femminili di sempre. Avete qualche valido motivo per non dargli un ascolto?

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