Perdonami Nino.

Ti chiedo perdono perché ti ho sempre visto come un farfallone che alla fine degli anni sessanta svolazzava nella musica leggera con motivetti arricchiti dalla voce piacevolmente graffiante, a tuo agio nella televisione italiana di facile presa. Un fighetto con l'appartamento in piazza Navona, maggiordomo in guanti bianchi, flirt a dozzine con le attrici più belle, la fuoriserie con autista pronto a scattare.

 Perdonami perché ho scoperto tardi il tuo passato da jazzista in Francia e il tuo amore per la cosiddetta "musica alternativa". La tua sbandata per il progressive dei primi anni settanta tanto da dedicargli un disco che spiazzò l'ortodossia dei tuoi ammiratori "leggeri": quel meraviglioso "Metronomie" per cui chiamasti a raccolta gli amici jazzisti francesi.

  E il tuo amore per il rock fino a stracciare ogni contratto per poterlo suonare senza compromessi? Reclutasti un mercenario inglese che era un grande chitarrista (Mickey Finn, titolare dei Blue Men dove suonò il Jimmy Page pre-dirigibile) e portasti a termine quel viaggio a ritroso dal palco dell'Ariston fino al garage di casa con questo "Blanat" del 1979. Infatti "Little Lili" sembra una prova fatta per scaldare gli strumenti, il sinuoso rock entra lentamente nelle vene con la tua calda voce e con il grintoso assolo di Finn rigorosamente a metà canzone; il piano boogie ci fa dondolare la testa con quel sorriso sornione che significa "...va tutto bene!". Anche "Boogie on" ha il sapore di un hit arrembante che solo un gruppo giovane ed entusiasta potrebbe rendere con tale freschezza beat. Invece "Michael and Jane" è un groove funky con un ritornello contagioso da ridicolizzare il tormentone "Johnny and Mary" che  Robert Palmer piazzerà nelle classifiche appena l'anno dopo. Poi la chitarra di Mike Finn si incupisce in "Fallen angels", dove sfoderi quella grana vocale che riesce a graffiare facendoci sanguinare senza sentire dolore.

  Non hai più obblighi Nino, e quindi con "Scopa" ti puoi divertire senza peli sulla lingua con una ballata blues trilingue inglese/francese/italiano (" ...non c'è più niente da fare/ resta solamente da fare quello che mi paresse/ e a me mi paresse di scopare/ e quindi allora scopa e tutta la vita allora scopa... scopa... scopa") che rimane di una bellezza disarmante in quel passaggio dalla voce arrochita che cede il testimone al lungo assolo della solista di Finn. Oppure con un' improbabile "Bloody Flamenco" che rasenta la psichedelia e rischia di diventare per la sua stramberia la canzone più intrigante del lotto. Operazione alquanto difficile, perché a chiusura del disco c'è "L'arbre noir" a ricordarci che sei un grande chansonnier moderno: malinconia, dolore, energia, tutto racchiuso in cinque minuti di progressione sonora.

Perdonami Nino. Perché non sapevo della tua rabbia per un mondo che va a rotoli, per una natura ripetutamente violentata, per l'uomo che tende sempre più a sopraffare il prossimo. Al punto di non riuscire a sopportare questo fardello e a mettere fine alla tua esistenza che chiunque altro avrebbe definito dorata. E che non comprenderà mai  come uno che aveva avuto tutto dalla vita, successo, soldi, donne, si possa sparare una fucilata in mezzo ad un campo di grano in un mattino assolato, facendo alzare in volo uno sparuto gruppo di cornacchie nere come dei sinistri messaggeri alati.

 E il rimorso per non averti capito mi porta a chiederti perdono in qualche modo. Cento recensioni non sono poche e, per impedire che altri facciano lo stesso errore, la mia centesima è dedicata a te.

"Bisogna che tutte le musiche, bisogna che tutte le opinioni
possano farsi ascoltare anche se l'indice di gradimento
resta al grado zero.
Bisogna fare in modo che si sia noi a scegliere,
se no non saremo mai liberi,
se no è tutta imposizione, tutta industria, tutto marketing.
Non amano la musica, non ne capiscono niente.
Tutto ciò che amano è ciò che riconoscono.
Allora si dividono le pere e il formaggio.
E sono vent'anni che si sente sempre la stessa roba,
Bouvard e Pécuchet, Tartufo e compagnia.
Noi vogliamo ascoltare ciò che fa vibrare,
vogliamo parlare di ciò che c'interessa
anche se si chiama sesso, droga o disperazione.
Vogliamo radio libere,
televisioni libere."
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