"Children of the Black Sun", uscito nel 2002, è un episodio atipico all'interno della produzione targata NoN, forse perché è l'unico che si può ascoltare!

La non-musica di Boyd Rice, pioniere dell'harsh-noise più intransigente, attivo fin dalla metà degli anni settanta, si tinge per l'occasione dei colori foschi di un dark-ambient d'autore, riuscendo nell'intento di risultare più digeribile del solito.

Per la gioia, inoltre, di tutti coloro che proprio non vanno pazzi per il suo vocione narrante (sia in termini di usufruibilità musicale, che per quanto riguarda i contenuti dei testi, non sempre condivisibili), il buon Rice, uno che ama definirsi una via di mezzo fra Adolf Hitler e Bambi, una volta tanto se ne sta zitto, lasciando la parola alle sue macchine. E noi gliene siamo grati.

"C'è un sole nero che non è visibile dall'occhio umano: esso è il nostro faro e il suo fuoco brucia in noi". Questa la frase enigmatica che ci introduce al concept dell'album, incentrato su tutta una serie di miti e leggende dell'antichità che hanno come oggetto l'idea di un fantomatico mondo sotterraneo, luogo di morte ma anche di resurrezione: Arka, il reame in cui viene esiliato Caino, e da dove costui si prepara per riemergere come Rex Mundi; il re, alla cui morte il sole diviene nero, che morto discende sottoterra per risorgere tre giorni dopo come dio; il sole, visto come un serpente che avvolge la terra, che al tramonto penetra nel sottosuolo per rinascere all'alba del giorno dopo; il fiume sotterraneo, che dai tempi anti-diluviani rappresenta il sapere e la saggezza, e che costituisce l'arteria pulsante del mondo; la Fontana del Destino, la cui acqua ha poteri magici e rigeneranti per chi ha l'ardire di raggiungerla e di berne una coppa. L'album stesso costituisce una discesa nel sottusuolo, un transfert nei luoghi più oscuri della nostra anima, un viaggio spirituale volto alla ricerca di una nuova energia, il fuoco nero che brucia in noi (eh, vecchio Rice, non ti smentisci proprio mai, eh?)

La musica dei NoN è una trivella metafisica che scava inesorabilmente nel sottosuolo: le manipolazioni sonore, gli effetti rumoristici e i droni vorticosi sono un vortice impetuoso che ci trascina in una lenta ma inesorabile discesa negli Inferi, un viaggio dagli imprevedibili toni pacati ed introspettivi che da Rice non ci saremmo mai aspettati, abituati a ben altri trattamenti. Di melodia nemmeno l'ombra, stiano pure tranquilli i puristi, tuttavia l'album scorre senza particolari traumi (beh, dura una mezz'ora scarsa, e questo aiuta!), le tracce sfumano l'una nell'altra, lasciando che l'ascoltatore sia condotto per i diversi scenari, come se fosse adagiato su una barchetta che solca un impetuoso fiume sotterraneo. Se gli approssimativi esperimenti sonori di Rice non hanno mai brillato per genialità ed ispirazione, suonando piuttosto come una provocazione fine a se stessa, o al massimo come il giusto sottofondo caotico per le narrazioni apocalittiche e lo stile declamatorio del folle terrorista sonoro, in questo caso il risultato non è affatto male, e il tutto sembra procedere ordinatamente e secondo un intento poetico ben preciso. Senza peraltro perdere il particolare trade-mark che caratterizza il progetto.

Le atmosfere si fanno meno cruente e caustiche, e i suoni si fondono con omogeneità e quasi con dolcezza (mi si perdoni il termine!), intervallandosi in un contesto di "statica-dinamica" che genera tensione, paura e senso di minaccia incombente.

Le consuete atmosfere da trincea e da fine del mondo assumono qui un alone spirituale ed esoterico: l'organo che prolunga all'infinito lo stesso accordo, il movimento ondulatorio dei suoni in loop, i fiati irrequieti che aspannano nel sottofondo, la trance ipnotica degli archi distorti allo spasimo, i nastri velocizzati all'inverosimile, i vorticosi giochi di echi e riverberi, le orchestrazioni minacciose e cori angelici, le onde di un fiume sotterraneo e lo scoppiettare di un rogo, fino al finale pomposo che sancisce l'arrivo alla meta agognata, il Sole Nero, e dove una voce riprodotta all'incontrario ci lascia con un enigmatico messaggio subliminale.

Per la cronaca, l'album è prodotto da Bob Ferbreche (Blood Axis), e da qualche parte (non saprei dirvi esattamente dove) compare il violino di Albin Julius (Der Blutharsch). Il cd è inoltre accompagnato da un dvd, ma è come se non ci fosse, dato che per tutta la sua durata viene riprodotta, in fermo-immagine, la copertina dell'album, tanto per ribadire la portata artistica del progetto.

Insomma, cosa fare? Vale la pena perdere una mezz'ora della propria vita per roba del genere? Secondo me sì, anzitutto perché è l'album giusto per chi vuole conoscere l'entità NoN senza perdere l'udito (per chi ci tenesse, sono invece indicati "Blood and Flame", "Might!", e "God and Beast"). Velleità documentative a parte, con il giusto atteggiamento e con la giusta voglia di farsi del male, anche questo "Children of the Black Sun" potrà regalarvi delle soddisfazioni, soprattutto se siete ubriachi e in dormiveglia. Io l'ho ascoltato una volta dopo una sbornia colossale e pareva di averci una flotta di elicotteri sulla testa. Ma erano elicotteri tranquilli, non mi volevano bombardare, erano solo lì sopra.

Da sopportare, ed eventualmente supportare.

Elenco e tracce

01   Arka (04:37)

02   Black Sun (04:24)

03   Serpent of the Heavens (05:19)

04   Serpent of the Abyss (06:10)

05   The Underground Stream (03:42)

06   The Fountain of Fortune (05:55)

07   Son of the Sun (00:51)

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