E’ oramai assodato: l’Italia, un tempo patria del power metal iper-sinfonico (e dei lacuna coil), si sta fortunatamente evolvendo verso altri lidi metallici decisamente più gustosi.

Se apro la recensione in tal modo è anche grazie alla musica dei Nox Perpetua, band del sud Italia che con questo “The Eternal Existential Triad”, ci mostra come grazie alla forza di volontà e grazie a una buona conoscenza musicale (tecnica e non) anche noi possiamo tirar fuori dei dischi di grande spessore artistico (ora con questo non voglio absolutely affermare che in Italia non ci siano band metal degne del massimo dell’attenzione, vedi Novembre, Ephel Duath, Ensoph ecc.), proponendoci in poco più di 50 minuti un mix di gothic, death e fusion di grande effetto.

Il disco viene aperto da “The Season Before…” nella quale nei 9 minuti e 28 secondi, il duo foggiano si mostra subito in possesso di doti tecniche davvero strabilianti: chitarre e basso si intrecciano tra assoli e parti ritmiche complesse, il tutto sostenuto da una batteria che continuamente cambia tempo, passando da ritmiche sparate in doppia cassa ad altre molto più vicine al progressive. Il grande senso melodico del pezzo risulta totalmente in contrasto (sia ben chiaro un contrasto piacevolissimo) con il gutturale growl del buon Emilio, veramente a suo agio sia in veste di singer che in quella di chitarrista.

Con i suoi 8 minuti e 43 secondi, la seconda traccia, “Reflexes” si presenta come la più breve di tutto l’album: ancora una volta grande sfoggio di tecnica da parte dei due musicisti, calando il tutto però in una atmosfera più gotica e tetra grazie ad un massiccio utilizzo dell’organo. Spettacolari le linee di basso, altro grande protagonista del pezzo, che diventa vero e proprio strumento melodico invece che ritmico. Da togliere il fiato il finale dove il solo di chitarra eseguito da Emilio vi farà sciogliere in una cascata di note, messe tutte con gran gusto e al posto giusto. La successiva “Desert’s Messiah” è invece quella più vicina, melodicamente, alla musica fusion, senza però mai perdere d’occhio la matrice death che caratterizza la band. Splendide le parti strumentali ricche di feeling e di un pizzico di oscurità.

Il duo finale rappresentato da “Drugalcholic Cerebral Penetrations” e da “Nox Perpetua” rappresenta invece il punto più alto dell’album: la prima traccia è una lunga suite di quasi 14 minuti di evoluzioni strumentali ed è aperta da un solo di chitarra che riporta alla mente musiche progressive e fusion; l’attacco della voce (un misto tra growl e scream) non fa perdere alla song l’atmosfera quasi sognante della prima parte, per poi trasformarsi verso i 10 minuti in una traccia di triste gothic metal. Anche questa volta la parte migliore è il finale, i nostri musicisti ci mostrano tutto il loro amore per la musica sinfonica. L’incipit di “Nox Perpetua” è invece molto più atmosferico, ma ben presto, dopo poco più di un minuto, si torna a territori più consoni ai nostri, sfoderando una pregevole canzone di death metal estremamente progressivo, ricco di ritmiche complesse e riff di chitarra e linee di basso in continua evoluzione.

Le influenze della band si possono sicuramente ritrovare negli onnipresenti Cynic, ma come già più o meno spiegato nella recensione è l’approccio musicale molto più sinfonico a fare la differenza con le altre miriade di gruppi techno-death che cercano per la maggiore di creare solo ritmiche e melodie impossibili (alle volte, raramente, quasi confusionarie): in questo caso invece non accade assolutamente, ma la tecnica resta totalmente al servizio della musica.

Altre note positive sono rappresentate dall’ottima produzione (suoni cristallini e ben riconoscibili da parte di tutti gli strumenti) e dalla bellissima copertina dal flavour goticheggiante ad opera Luis Royo che dona quell’ulteriore tocco di classe ad un album che non esito a definire un eccellente prodotto di cui andare fieri.

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