Registrato nel 1978, “Chance Meeting on a Dissecting Table of a Sewing Machine and an Umbrella” (per gli amici “Change Meeting”) è il folgorante esordio della mostruosa entità capeggiata da Steve Stapleton.
All'epoca i Nurse with Wound erano un trio di bislacchi amici, maniaci collezionisti di quanto più assurdo il mondo della musica potesse offrire. Ogni cosa poteva essere acquistata nelle loro furibonde scorribande per i negozi di tutto il mondo, non vi era preclusione alcuna se non il rispetto di tre assunti fondamentali: album che presentassero lunghe composizioni, totale assenza di voce e copertine bizzarre. Cosa poteva quindi scaturire dalla testa di questi improvvidi cultori del collezionismo più oltranzista?
Il lavoro in sé è oggi da annoverare fra i capisaldi della scena industriale britannica degli anni settanta, ma la proposta di Stapleton e soci si discosta molto dalle gesta di act quali Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire, che ai tempi dettavano legge in materia. La propensione avanguardista del trio è preponderante, la forma free e la pulsione improvvisatrice fortemente pronunciate rispetto a quanto abbiano mai dimostrato gli illustri colleghi anzi citati (che certo non sono passati alla storia come i fautori della musica più scontata, lineare ed orecchiabile del mondo). “Chance Meeting” è uno scherzo musicale che sa utilizzare in pari modo intelligenza ed ironia, coraggio di osare e verve dissacratoria, attingendo sapientemente da quelli che erano gli ascolti della gioventù dei Nostri: la neonata elettronica, il free-jazz, il krautrock dei vari Faust, Can ed Amon Duul II, senza dimenticare le lezioni dadaiste di figuri quali Dali e Lautréamont. Le tre composizioni che compongono l'album sono allucinanti sinfonie di schizofrenica arte improvvisata, dove la reiterazione del tema e l'ossessività di matrice industriale non dimorano, lasciando praterie infinite al pascolare irrequieto dei vari strumenti.
A prevalere è piuttosto il “caos lucidamente organizzato” che risiede nella mente del mastermind Stapleton (improbabile sassofonista e già scaltro dietro a macchinari, genio in fieri della tecnica del samplng e della manipolazione dei nastri), aiutato dai guizzi surreali dei compari (l'indiano Heman Pathak ed il connazionale John Fothergill), indaffarati dietro agli strumenti più disparati: un pianoforte, una chitarra elettrica, un organetto Bontempi ed arnesi assortiti capaci di schizzare impazziti in un pantano che, a tratti, sa già anticipare la rivoluzione dark-rituale dell'amico David Tibet e dei suoi Current 93 (di cui lo stesso Stapleton sarà membro stabile e duraturo).
Come del resto non pensare ai primi album della Corrente quando, ascoltando una delirante “Blanck Capsules of Embroidered Cellophane” (28 minuti e 21 secondi), che fra svolazzi free e dissonanze assortite, sa offrire morbose aperture di harmonium apocalittico e cupi rintocchi di piano rintronante. Oppure ascoltando il lamento sgraziato (culminante nel delirio di un malato di mente) che irrompe angoscioso nel farneticare elettronico della caniana “The Six Buttons of Sex Appeal" (13 minuti e 6 secondi). Ma la morbosità dei Nurse with Wound, in questa prima incarnazione (probabilmente la migliore, forse perché non ancora autisticamente recintata/intrappolata all'interno delle pareti dell'imperscrutabile mente del solo Stapleton), non scivola nell'orrido, nel disagio esistenziale, nella musica dell'orrore di cui i cugini Current diverranno maestri indiscussi. “Chance Meeting”, nel suo caotico avanzare, nella sua apparente mancanza di senso, nel suo ondeggiare terremotante (ma mai figlio di una cacofonia fine a se stessa), è percorso da un'inquietudine palpabile in grado di catturare progressivamente l'ascoltatore fino ad estraniarlo completamente dalla realtà circostante (prerogativa di ogni album targato Nurse with Wound), ma senza mai esasperarlo, né sfibrarne i timpani.
Perché se è vero che è già presente nel suo più deforme splendore la minuziosa ricerca sonora volta alla vivisezione/atomizzazione del suono che sarà tipica della visione artistica di Stapleton, riscontriamo un'ispirazione, un'eleganza, una grazia nell'orchestrare i “policromismi” sonori e nell'ammaestrare le infinite soluzioni (a volte anche melodiche) che sapranno coinvolgere l'ascoltatore ed invogliarlo a proseguire nell'ascolto dell'opera.
Non solo cibo per la mente, quindi, ma anche gustoso nettare per l'anima, quando ancora le ingenuità della gioventù lasciavano passare qualche parolina comprensibile all'interno di un discorso che con il passare degli anni sarebbe divenuto intraducibile per chiunque risiedesse al di fuori della mente di Stapleton (basti pensare all'apice dell'ermetismo stapletoniano, il triplo “Soliloquy for Lilith”). Un esempio? Il piano di impostazione classica che qua e là fa capolino fra lo sferragliare delle lamiere, le sevizie agli strumenti, gli scricchiolii delle percussioni, dei fiati e della chitarra elettrica.
E pensare che un giorno questi tre si dettero appuntamento di fronte allo studio appena dopo aver acquistato ciascuno uno strumento da strimpellare in assoluta libertà: forse nemmeno loro stavano realizzando il fatto che da quelle sessioni sarebbe scaturito uno degli album più importanti della storia della musica industriale, se non della musica d'avanguardia in generale.
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