Ho atteso a lungo (a dir la verità molto a lungo) prima di buttare giù qualche linea per questo "Frames" degli interessantissimi (e a mio modo di vedere sottovalutatissimi) mancuniani Oceansize.
Un suono estremamente complesso e ramificato pervade ogni singolo minuto delle otto tracce del platter: post rock, progressive, il rock alternativo (e celebrale) dei Tool e dei Dredg, sono tutte componenti che in egual misura possono essere riscontrate nel disco. Ed è stupefacente come i nostri siano in grado di amalgamarle le une con le altre, regalandoci, in più di un'occasione, pezzi grandiosi e emozioni.
"Commemorative T-Shirt" ammalia sin dall'inizio con una struttura palesemente "à la post rock", con riff minimali che crescono con il tempo assommandosi e divenendo via via sempre più corposi, arricchendosi di venature più pesanti (grazie alle ottime trame intessute dalle tre chitarre) e complicandosi, lasciando svanire pian piano la forma canzone in favore di soluzioni più liquide, dilatate e imprevedibili. E se qui la voce di Mike Vennart raramente va oltre a versi dolci e cullanti, ci saranno anche momenti in cui tutti si farà più aggressivo.
Oltre al già citato pezzo mi sento di segnalare altri brani che spiccano sugli altri per la loro qualità.
"Trail Of Fire" vive su un crescendo emozionante che molto mi ricorda i Dredg, che nella sua seconda parte si arricchisce così tanto da culminare in un glorioso finale da brividi; struttura simile è riscontrabile anche nella successiva "Savant", quasi una seconda parte della traccia appena descritta ma in più cesellata e arricchita da una sezione di archi veramente toccante.
Si cambia registro con "Only Twin", cupa come certe produzioni degli ultimi Porcupine Tree, ma in grado comunque di sorprendere grazie all'abilità del gruppo di cambiare l'ordine delle carte in tavola. La tensione accumulata lungo la gran parte del brano si risolve negli ultimi minuti, facendo filtrare il sole grazie a esplosioni sonore e alla voce del cantante, che qui forse tocca il suo apice in fatto di pathos suscitato.
E' però "An Old Friend Of The Christy's" che si guadagna, a mio avviso, lo scettro di migliore composizione presente in questo "Frames". Lenta, malinconica e asfissiante, avanza piano piano e lacera, strazia e strappa tutto ciò che incontra, lasciando dietro di sé la semplicità dei riff con i quali si era aperta.
La chiusura è affidata a due brani molto diversi tra loro. "Sleeping Dogs And Dead Lions" è cervellotica, nevrotica, labirintica e forse tutto sommato un po' troppo epilettica e confusionaria per poter essere compresa appieno (anche se tira fuori il lato più duro dei nostri). Nostalgia e malinconia come se piovessero poi con la finale "The Frame", una ballatona lenta e accogliente come un caldo abbraccio che chiude in modo più che buono questo disco, lasciandoci con un sapore agrodolce in bocca e la voglia di riassaporare di nuovo l'album, per riscoprire i passaggi che sono andati perduti al primo ascolto.
La mia idea iniziale nello scrivere questa recensione non era di fare una descrizione traccia per traccia, ma come potete notare ho descritto, a conti fatti, sette di otto brani di questo "Frames". E' un disco che ti prende di più ogni volta che lo ascolti, che ti si concede poco per volta, che vuole essere conquistato, un disco che parla sottovoce, che sembra urlarti cose che già sai ma che, sussurrando, ti rivela anche sensazioni e emozioni che non si provano all'ascolto di una canzone qualsiasi. E se vi potrà sembrare freddo, distante e complicato lasciatelo da una parte e riprendetelo dopo qualche giorno (o qualche mese come ho fatto io), e vedrete che il vostro punto di vista sarà già diverso.
Da assaporare con calma, nel tempo e con il giusto stato d'animo.
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