Nella quasi totalità dei casi, il mio approccio musicale è poco più che puro e semplice istinto chimico immediato: mi basta veramente poco per "inquadrare" un artista, un album o un genere nella mia prospettiva personale, stabilire se mi interessa o non mi interessa, se è amore, odio o se mi rimbalza addosso. Per quanto discutibile possa essere, è una caratteristica personale che mi ha servito molto bene, consentendomi di sviluppare in libertà un metro stilistico tutto mio, e sono veramente pochi i casi in cui non ho elaborato entro breve tempo un giudizio netto, questo ne è uno dei rari esempi.

Decisamente curioso anche il modo in cui sono venuto a conoscenza di questi Of Monsters And Men, ovvero grazie alla mia adorata nipotina di nove anni che, conoscendo le mie attitudini di divoratore musicale, mi fa ascoltare un paio di canzoni imparate in un corso di danza. La prima è "Pompeii" dei Bastille, su cui preferisco glissare elegantemente, la seconda è "King And Lionheart": un videoclip in bianco e nero dalle atmosfere fiabesche e spettacolari, una melodia semplice, leggera ma intensa, dalle sfumature folkish, veramente molto bella, e tanto basta per destare la mia curiosità.

E così provvedo ad informarmi su questo sestetto: "benissimo, finalmente posso recensire anch'io qualcosa di islandese, l'Islanda fa sempre molto figo, magari ci metto pure un paio di frasi ad effetto sui geyser, sui paesaggi, sull'incontro/scontro tra fuoco e ghiaccio" è il mio primo pensiero, subito accantonato dopo il percorso tutt'altro che semplice e lineare che mi ha portato dopo un mese e mezzo di riletture, cancellature e cambi di umore e di forma a questo scritto, ma ormai "alea iacta est", risolvere l'enigma "My Head Is An Animal" era diventata una sfida stimolante. I primi ascolti fugano definitamente il mio timore più grande, ovvero quello di trovarmi al cospetto di un album composto nella quasi totalità di nenie all'insegna di una vacua stagflazione emozionale e creativa. No, gli Of Monsters And Men sono vivaci, colorati, a contatto con la terra, con la sensibilità pop(olare), con le radici folk. "Dirty Paws", l'apertura dell'album, sembra quasi dirmi "senti bello, statte zitto e ascolta, e tanto che ci sei i geyser ficcateli pure dove non batte il sole". Una ballata semiacustica in crescendo emotivo, molto visionaria, molto suggestiva, che mi ricorda la prima Joni Mitchell anche per la voce vellutata ma lievemente inquieta ed enigmatica di Nanna Hilmarsdòttir, la voce femminile del gruppo. Quando azzeccano la canzone giusta, gli OMAM sono capaci di belle, ma veramente belle cose, sono capaci di proporre in musica emozioni e stati d'animo con grande naturalezza, spontaneità e un tocco raffinato, per esempio "Little Talks", con la sua sarabanda di ottoni e l'intreccio perfetto tra voce maschile e femminile riesce a trasmettere una sensazione indefinita a metà tra l'allegria e la riflessione che di certo non lascia indifferenti, così come la frescezza e la vivacità di un pop rock come "Mountain Sound", impreziosito da un grandissimo lavoro di cori e backing vocals oppure la sorprendente virata su atmosfere western di "Your Bones", con una grande sezione ritmica ed un respiro epico di stampo morriconiano.

Insomma, le potenzialità espressive e il talento sono veramente straordinari, un vero peccato che il "magnetismo" non sia così costante ed intenso per tutto l'album; ci sono troppi lenti e, con l'eccezione degli episodi già citati precedentemente e dell'ottima "From Finner" con il suo andamento da walzer irregolare, sognante ma anche energico e comunicativo per il resto ci sono segni evidenti di quella stagflazione emotiva a cui facevo riferimento: "Slow And Steady" ad esempio, anche ben riuscita melodicamente ma poco personale, priva della comunicatività e dell'immaginario evocato dagli episodi migliori, "Love Love Love" con quel refrain ripetitivo, bruttino e un po' deprimente, una "Sloom" che non decolla mai, accartocciandosi su uno zoppicante arpeggio acustico, o ancora "Yellow Light" che chiude il discorso con una delicatezza inconsistente, sonnolenta ninnananna nonchè poco accattivante stereotipo di etereo indie-folk islandese.

In ogni caso, gli OMAM si sono guadagnati il mio rispetto, per essere riusciti a mettermi così in difficoltà, ed anche la mia attenzione: chissà come si evolveranno, se evaporeranno in un geyser di etereo manierismo indie o se, lo spero vivamente, a prevalere sarà il loro lato più estroso e vitale. "My Head Is An Animal" affascina per l'intreccio delle voci, la cura e la ricchezza dei suoni (degli episodi migliori), per un'immaginario visivo bello, affascinante e molto ben concepito, quello che manca è sicuramente un po' di calore mediterraneo, ed un briciolo di passionalità; il connubio tra temi naturalistici/fiabeschi ed introspezione alla lunga diventa un po' pesantuccio, questo album lo dimostra in maniera lampante, non si può fare a meno di un pochettino di corazon, quella piccola scintilla di malizia e vitalità, di eterogeneità che può fare la differenza. Riusciranno gli Of Monsters And Meh, così come li ho simpaticamente soprannominati, a capirlo e a spiccare quel salto di qualità che potrebbe veramente avvicinarli alla mia sfera di attenzione?

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