Pane al pane e vino al vino: da quel che ho avuto modo di sentire Ofra Haza è un mezzo bidone. Sono stato un po' troppo lapidario? Può darsi, la sua carriera è durata circa vent'anni e io ho avuto modo di conoscere solo quattro album tra cui questo. In Israele è considerata una leggenda nazionale, la popstar di bandiera per eccellenza, e a cavallo tra anni '80 e '90 è riuscita a farsi conoscere anche fuori dal Medio Oriente, guadagnadosi paragoni (sgradevoli, superficiali e tutt'altro che incoraggianti) con l'imprenditrice italo-americana nota come Madonna. Gli album che le hanno conferito questa nomea, "Shaday", "Desert Wind" e "Kirya", uniscono atmosfere e strumentazioni tipicamente middle-eastern alle sonorità synth-pop e danzerecce allora sulla cresta dell'onda, con esiti sporadicamente molto gradevoli ma il più delle volte pacchiani e decisamente dimenticabili: la musica mediorientale così come se la immagina l'ascoltatore medio, con archi, ritmi sensuali e vocalizzi in ogni dove, accompagnata da una retrogusto plasticoso e modaiolo; aggiungeteci un ruffianissimo miscuglio linguistico anglo-arabo-ebraico ed il gioco è fatto. Il mio consiglio è di non perderci tempo come ha fatto il sottoscritto, se non per qualche episodico guizzo di classe come "Fata Morgana" o "Innocent", ma "Yemenite Songs" forse un po' più di attenzione la merita.
Disco del 1984, quindi precedente ai sopraccitati fasti internescional, è una raccolta di melodie tradizionali della comunità ebraica dello Yemen, di cui è originaria la stessa Ofra Haza, con testi adattati dall'opera di Shalom Shabazi, poeta del '600. Si tratta sempre di un tentativo di fusione tra sonorità autoctone e una strumentazione a'la page, e nel complesso "Yemenite Songs" non è di certo un disco che mi fa gridare al miracolo ma, a differenza dei lavori successivi, ha una ragion d'essere molto più valida del semplice cavalcare la cresta dell'onda per fare più soldi possibili e l'ascolto si rivela sicuramente più interessante. Atmosfere vivaci, piene di luce e di colori, belle melodie, e la presenza di archi e fiati è perfettamente integrata in un contesto di naturale appartenenza, non uno specchietto per le allodole per yuppies in cerca di esotismi preconfezionati. Il meglio di "Yemenite Songs" sta in episodi come "Yachlivi Veyachali", "Tzur Menati" e "Lefelach Harimon", che hanno nel ritmo, nell'allegria e nella vitalità le proprie caratteristiche salienti; un perfetto sottofondo musicale per il viavai frenetico e cosmopolita di una città portuale del Golfo Persico.
Eppure proprio non me la sento di andare oltre una valutazione media: ci sono veramente troppi limiti, in primis un'impressione generale di relativa monodimensionalità nonostante le sole otto canzoni proposte, poi c'è la voce di Ofra Haza, interprete a mio parere abbastanza modesta e priva di un particolare carisma, che si lascia trascinare dalle melodie (per una grande cantante dovrebbe essere l'esatto contrario) senza riuscire ad imprimere una propria personalità. Il mio citare come highlights del disco gli episodi più ritmati a vivaci presuppone un importante rovescio della medaglia, "Yemenite Songs" è sicuramente un ascolto piacevole e anche affascinante ma nel complesso direi che si ferma ad un livello abbastanza superficiale, non riesce a penetrare in profondità, ad offrire emozioni che vadano al di là della semplice piacevolezza e gradimento. Purtroppo direi una mezza delusione, un compromesso e un potenziale musicale poco sfruttato; premesse ed idee rimangono ottime, le radici musicali sono sicuramente di grande valore, la realizzazione finale lascia un po' a desiderare.
Elenco e tracce
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