Siete pronti a sovvertire ogni immagine che gira nella vostra testa a proposito di musica? Siete pronti a prendere i King Crimson e farli sposare con i Beatles, con Pierluigi da Palestrina, con Mozart, con gli Henry Cow, con gli Hatfield and The North e i Dün? Se siete pronti è un buon inizio, ma solo un inizio, perché in realtà dovrete a prepararvi a molto di più. Questo incredibile gruppo viene dalla Lettonia e si è formato nel 1998 attorno ad un geniale bassista di nome Denis Arsenin, che si scontrò (forte la casualità eh?) con il batterista Edgar Kempish. Nel 2002 esordirono per la Solei Zeuhl con il disco "Gramercy", disco piuttosto sperimentale e interessante quanto folle, nelle sue unioni crimsoniane, zeuhl e Gentle Giant.

Dopo tutto questo silenzio il lungimirante patron della Mellow Records, Mr. Mauro Moroni, ripesca nel barile queste olive in salamoia e, nel 2008, pubblica una stupenda giostra musicale dal nome "Cherdak". Il titolo in lettone significa "soffitta" ed è proprio lì che dobbiamo andare a rovistare per trovare ed aprire i quattro bauli che rappresentano i quattro lunghissimi titoli del lavoro. Nei bauli possiamo trovare di tutto e non meravigliarci di nulla, anzi dobbiamo semplicemente prendere osservare e riporre: dalle cose più antiche a quelle più moderne. Immaginate ad esempio di pescare uno spartito provenzale del 1600 e suonarlo con la Gibson di Fripp, come nella suite "Tombeau de Cherdak", oppure un arpeggio del Beatles e infilarlo in un tempo pluricomposto, così solo per dare divertimento e gioia ai ragazzini che si salutano in una foto ingiallita della giostra dei cavalli, come possiamo ascoltare in "Beowulf". Possiamo trovare testi in latino o nell'inglese di Shakespeare ed è probabile che siano talmente antichi da vederseli sbriciolare tra le mani, allora potremmo osservare i brandelli cadere lentamente nel baule per infilarsi in un nuovo spartito di due secoli più moderno, sfuggendo per una curva spazio temporale.

Incarico da non poco per i due chitarristi Alexey e Sergey Syomin, in grande sfoggio tra elettriche, acustiche, classiche, barocche, mentre creano i bordi spigolosi di un contenitore da riempire con organi e tastiere della bravissima Elizabeth Perecz e con le folli e arzigogolate  ritmiche del citato Kempish.

Quello che viene espresso in questo disco è enorme e lascia intravedere quali siano le reali possibilità di quelle miscele musicali che possono nascere nelle menti eccelse di chi abbia ancora voglia di sperimentare, senza farsi spaventare di paroloni tipo avanguardia e progressive.

Il disco è facilmente recuperabile direttamente all'etichetta sanremese e lo consiglio caldamente per 55 minuti di goduria musicale, anomala, strana, antica e moderna, comunque incredibilmente emozionante.

Siouletta.     

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