Pochi altri gruppi hanno esordito con un botto così fragoroso e con tanta ricchezza di idee originali come gli Opeth con Orchid. Mi sovvengono tre titoli che, sebbene datati rispetto all’ opera in oggetto, tuttavia presentano alcune affinità col grande gruppo svedese, e precisamente A) Gentle Giant Omonimo 1970 (Tesi) B) Black Sabbath Omonimo 1970 (Antitesi) C) High Tide Sea Shanties 1969 (Sintesi). Non è un caso che mi sia riferito a classici del PROG, dell’ HARD e infine di un seminale DARK-PROG per introdurre il discorso su Orchid. Con quest’ opera prima la Band di Akerfeldt inaugura, o sarebbe meglio dire riprende, un modo di interpretare il prog-metal ben diverso da quello iper-tecnico dei Dream Theater i cui antesignani debbono essere rinvenuti piuttosto negli YES e nei RUSH. Qui invece si bada al contenuto piuttosto che alla forma, al primato dell' emozione sulla tecnica, alla fase della composizione rispetto a quella dell’ esecuzione. Il risultato finale è appunto un Dark-Prog colmo di tensione, gravido di oscura energia creativa.

Chiunque abbia ascoltato quel capolavoro che risponde al nome di Sea Shanties non può non essere stato colpito dalle sfuriate di chitarra elettrica alternate con il magico violino di Simon House. E’ un continuum roboante e drammatico di riffs durissimi ma anche sinistramente melodici che si susseguono alternandosi ad assolo che, a loro volta, ripiombano nel maelstrom incandescente di un groove in costante evoluzione. Ecco, questa sensazione l’ ho riavuta pari pari ascoltando Orchid. Anche qui le due chitarre di Lindgren ed Akerfeldt si rincorrono dando vita ad un continuum elettrico, fervido di creatività, in cui è difficile dire dove cessi il riff e cominci l’assolo, poiché entrambi confluiscono in un unico intenso fiume di lava sonoro, appena mitigato dalle escursioni acustiche che paradossalmente conferiscono ulteriore tensione al brano anziché distenderlo ed appianarlo. Tutti i brani di Orchid, se si escludono le peraltro deliziose divagazioni al piano e alla chitarra folk di Silhouette e Requiem, sono sostanziati di questo magma sonoro incandescente, tanto creativo quanto intenso. E non c’è davvero soluzione di continuità, alll’ ascoltatore non è concesso neppure un momento per respirare. Tutti i pezzi sono di un livello qualitativo altissimo, anche se spiccano le due gemme finali “The Twilight Is My Robe” e “The Apostle In Triumph” , in cui davvero gli Opeth si superano. Si ascolti la fuga-assolo all’ 8° minuto di “ The Twilight Is My Robe” : da brividi, mi ricorda il celeberrimo e sinistro assolo di War Pigs. L’ inizio del brano seguente, poi, è geniale e trascinante con l’ ascendere di una frenetica chitarra acustica a conferire ulteriore drammaticità ad un brano che già ne trasuda. Ragazzi se vi è piaciuto questo album, fidatevi, prendetevi pure “ Sea Shanties” degli “ High Tide” che ne è l’ archetipo, remoto nel tempo, ma molto vicino nello spirito e nel sound. Per maggiori informazioni rinvio alla mia rece di prossima redazione.

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