Ornella Vanoni è la raffigurazione carnale della donna indipendente, emblema di ostentazione e di orgoglio della privazione dei vincoli. Raffinata e colta, amante della letteratura e del teatro, intelligente con quell’incedere riflessivo di argomentazioni e concetti mai pronunciati a caso; non stiamo parlando di una cantantuccia da spiaggia all’acqua di rose. Chi artisticamente la conosce, è consapevole di trattare di un personaggio che vanta più di mezzo secolo di collaborazioni prestigiose.

Ci pensarono Strelher, Fo e la premiata ditta Garinei & Giovannini a plasmarla inizialmente, sia come attrice di prosa che come cantante (ai tempi della “mala milanese“). Decisivo fu poi l’incontro con Gino Paoli a renderla celebre e capace di evolversi lentamente, inoltrandosi già dalla fine degli anni ‘60 in generi inconsueti per l‘abitudinaria canzonetta melodica, attuando costanti rivisitazioni alla grande canzone d’autore italiana e internazionale, soprattutto francese e anglosassone, dimostrando una particolare predilizione alla bossa-nova, al samba e alle sonorità brasiliane in genere, di musicisti come Toquinho, Antonio Carlos Jobim, Vinicius De Morales, Chico Buarque o Caetano Veloso (incidendo con alcuni di loro sia long plain che brani singoli) e perfezionando il suo stile in interpretazioni eleganti e mai blande, sotto la super visione di Sergio Bardotti che dopo un importante avvio di decennio con “Ricetta di donna”, le produce nell’autunno del 1981 anche il fondamentale “Duemilatrecentouno parole“. Fondamentale, perché raramente Ornella si accinse fino a quel momento nel ruolo di cantautrice. Ma all’alba dei 47 anni, fu proprio il progetto di questo lavoro a darle l’incipit per impugnare carta e penna, imbastendo e finalizzando gran parte di quelle reali 2301 parole (titolo non scelto a caso), che distribuite in dieci brani, assemblarono la struttura poetica dell’album. Toccò al maestro Maurizio Fabrizio, già arrangiatore dei pluridecorati dischi di Angelo Branduardi usciti tra il 1975 e il 1980 e collaboratore ne “La buona novella” di Fabrizio De André, a occuparsi anche qui degli arrangiamenti e dell’orchestra, dando vita a delle sezioni strumentali pop e ballad di caratura molto elevata.

Ad aprire questo diario rosa è l'esaltante “Musica musica”, generoso omaggio alla sonora arte in questione, seguita a ruota dalla celebre “Vai, Valentina”, uno dei pezzi più prediletti della sua feconda discografia, zelante invito e sprono che la cantautrice lombarda pronuncia a questa enigmatica donna; ciò accade perché gioca un ruolo essenziale il tema del doppio. Valentina è l’alter-ego di Ornella, anzi sono la stessa sostanza: carne, cuore e pensiero. Sovente ha interpretato questo brano di fronte ad uno specchio durante i concerti e guardandosi dentro, ella si rivolge al proprio lato più fragile e intimista, convincendolo a reagire allo scorrer pacato di un tiepido sangue, rallentato dalle malinconie, dalle afflizioni e da un'infinita ricerca dell’equilibrio tra sé e la circostante realtà. Specchio presente anche nella copertina del disco, che sostituisce il volto di Ornella, contorniato dalla generosa chioma, composta da quelle numerose parole effigiate per lei dal fumettista Forattini. Un sangue che riprende poi a scaldarsi e a defluire più celermente, quando la voce dell’Ornella pura, inietta in circolo i globuli della passione, diretti dagli improvvisi picchi emozionali. Quella stessa dualista essenza femminile, prende corpo anche in una provocante ballerina in “Fandango“, nella volontà alla disillusione in “Volevo amarti un po’”, nelle frustrazioni pomeridiane di due amiche durante una passeggiata lungo una spiaggia in “Per un’amica” e in quelle notturne, nell’attesa di scoprirsi diversi o invariati il giorno dopo in “Risveglio” (scritta da Mario Lavezzi probabilmente per Loredane Berté, che la canterà solo due anni dopo), ma sa rendersi saggiamente disinvolta nel brano “La gonna” e aggraziatamente leggera in “Fatalità”, pezzo scritto dallo stesso Bardotti tredici anni prima per i Bertas, un emergente gruppo sardo; ospita anche Pierangelo Bertoli duettando con lui nella delicata "Favola”, mentre torna come una barca all’ormeggio il vecchio Gino, platonico compagno di sempre, fratello acquisito ed ex tormentato amore impossile, nonché per uno strano scherzo del destino, quasi gemello, perché nati entrambi a 24 ore di distanza, gioia e dolore perpetui, marchiati a fuoco da una complicità singolare, così distanti ma sempre essenziali l’uno per l’altra. Ornella chiama Gino e lui c’è. Ornella chiama e Gino scrive le ultime 105 parole; giocano insieme nel brano di coda; sapranno chiamarsi ancora e giocare più volte anche negli anni e nei decenni seguenti, come han sempre fatto. Ornella chiama “E Gino risponde”, poi il diario si chiude.

voto al disco 8.5/10

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