Tanto tuonò che piovve.

Longlegs, horror indipendente targato NEON - casa di produzione americana, assieme alla A24 tra le più importanti ed influenti di oggi, e che si porta dietro il prestigio delle ultime cinque palme d'oro -, diretto da Oz Perkins: uno dei film più attesi e chiaccherati dell'anno, da molto prima che arrivasse l'uscita italiana ufficiale.

Longlegs è anche tra i maggiori incassi commerciali dell'horror non mainstream degli ultimi anni, addirittura dell'ultimo decennio secondo alcune fonti. Ed è proprio in quest'ultimo decennio che il regista, figlio del mitico protagonista di Psycho, si è affermato come uno dei più interessanti e visionari nella scena dell'orrore cinematografico. Sebbene non così incensato quanto i colleghi Peele, Aster e Eggers (quest'ultimo che, in verità, di horror veri e propri non ne ha diretto nemmeno uno, al momento).

Come insegnava Nietzsche, più a lungo osservi l'abisso, più l'abisso osserva te. E a sé ti chiama.

Nell'arco di quattro film, c'è una grande coerenza nell'opera di Perkins, che ne fa un autore a tutti gli effetti. A partire da un nucleo centrale: a essere protagoniste, sono sempre donne. Donne che, nel percorso, compiono una traversata nell'oscurità, una oscurità che possono abbracciare o rifuggire, preservando a tal proposito un atroce dubbio che Perkins, sapientemente, lascia irrisolto.
Perché, comunque vada a finire, nei lavori di Perkins l'oscurità è un incontro col destino. Qualcosa di ineluttabile e segnato sul calendario del Tempo.
Le gambe del Male sono sempre le più lunghe.

Il cinema di Oz Perkins è un triangolo: forma ricorrente, simbolo ancestrale, dai molteplici significati, e che compone la stessa struttura di Longlegs - così come era già nell'esordio del 2015, February.
Film in tre atti, le cui linee infine compongono un'opera dall'atmosfera tetra, resa anche metaforicamente gelida dagli scenari innevati, oltre che dai contenuti agghiaccianti.

Il triangolo, simbolo per eccellenza della Tradizione alchemica ed esoterica che rappresenta la trasformazione e il cambiamento, e che era il fulcro in Gretel e Hansel, qui viene però rovesciato, come a rivoltare la Sacra Trinità e portando con sé un significato ancora più inquietante, associandosi al pentacolo rovesciato proprio del satanismo.

E siamo così alla destinazione programmata da questo nuovo viaggio.
Questo è difatti il filo rosso di Longlegs, il fine del misterioso serial killer interpretato da un pazzesco Nicolas Cage. L'intercessione a favore dell'uomo che vive al piano di sotto. Mr. Downstairs.
Rispetto ad altre opere che hanno affrontato la tematica del satanismo, Longlegs ha qualcosa di unico a distinguerla, e certamente il film non è uno dei tanti emuli del filone polanskiano.

Anzi, uno dei riferimenti più citati, riguardo almeno alla formula, è Il silenzio degli innocenti, e certamente con il cult di Demme, Longlegs condivide alcuni spunti. A partire dall'idea della detective che, oltre a cercare l'assassino, nasconde episodi oscuri del proprio passato.
Ma le similitudini con il film del '91 sono solo apparenti e superficiali. In verità fuorvianti.
Mi viene più da pensare a Cure, capolavoro di Kiyoshi Kurosawa. Il primo film a mettere in scena un serial killer che uccide per interposta persona, attraverso il meccanismo dell'ipnosi. E anche in Cure, film avveniristico che aprì le porte al nuovo horror giapponese poi esploso con Ringu, non mancavano suggestioni esoteriche.

Longlegs agisce diversamente, non fa ricorso all'ipnosi, ma come il killer di Cure, non uccide mai sporcandosi le mani. E, così come Koji Yakusho, anche Maika Monroe scruterà le tenebre fin troppo da vicino, fino a restarne marchiata nella mente e nello spirito.

Al di là dei riferimenti esterni, Longlegs è il film che più si avvicina e ricollega proprio al sopracitato esordio di Perkins, February - L'innocenza del male (The Blackcoat's Daughter).
Il lungo inverno dell'anima, segnato dall'incontro con il Signore del Male, ebbe allora inizio e di tutto fu il principio. Quel lungo inverno non è ancora giunto alla sua conclusione.

Perkins adotta certe tematiche per elaborare traumi e lutti, come da lui stesso dichiarato. Certamente coglie nel segno toccando tasti delicati, punti nevralgici della cultura occidentale, e lo fa con una eleganza stilistica straordinaria.

Tra simbolismo e dissolvenze.
Per esorcizzare l'inferno della vita.

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