6.Fabrizio De Andrè (noto anche come L'indiano)
Da qui cominciano gli anni 80 di Faber, un decennio di grandi cambiamenti sfruttato poco e benissimo dal nostro cantautore che nell'arco di quei 10 anni ha pubblicato solo 2 album. Il primo è questo Fabrizio De Andrè che conoscerete tutti come L'indiano, uscito nel 1981 in collaborazione con Massimo Bubola che aveva già collaborato a Rimini.Il concept che impermea il tutto è forse uno dei più interessanti:il rapporto tra gli indiani d'America e i Sardi, due popoli perseguitati e che hanno dovuto affrontare nel corso della storia molteplici difficoltà. L'incipit è affidata alla blueseggiante Quello che non ho, dove il materialismo della vita quotidiana non basta più, dove quello che non abbiamo non ci interessa più. Segue poi nel lato A un palleggio continuo tra America e Sardegna: si passa dai monti dove risiede un pastore selvaggio alle rive del Sand Creek appena saccheggiato dai conolizzatori per poi infine farci trascinare dalle note della tradizionale Deus ti salvet Maria. Sull'altro lato invece, posta all'inizio proprio, c'è un piccolo miracolo fatto a canzone:una canzone d'amore, di sofferenza, di tempo passato, di difficoltà e di attesa. Questa è Hotel Supramonte, racconto del rapimento che Faber e Dori Ghezzi subirono nel 79, superando un evento che fu uno shock emotivo per entrambi. E come Faber è riuscito a incastonare quel momento in una canzone così dolce è veramente dote rara. Restiamo un altro poco in Sardegna a goderci la storia di Franziska, ragazza con un bandito come fidanzato che non può essere sfiorata o guardata da nessuno. Segue un'altra canzone d'amore dove la banalità non vi trova posto già dal titolo, Se ti tagliassero a pezzetti, pezzo magico e assolutamente imperdibile e una chiusa assai bizzara, un simil-reggae che porta il nome di Verdi pascoli, un esperimento decisamente carino che chiude bene il disco. A livello lirico Faber non ha più nulla da dimostrare, rimane una penna unica nel nostro repertorio cantautorale. Quel che cambia in questo disco è la musica, che si fa più corposa, più varia e meno attaccata ai preconcetti cantautorali. Questo è un ottimo fattore, testimonia effettivamente che le intuizioni musicali di Rimini sono state assimilate. Ma nel futuro questo fattore esploderà letteralmente dando molti frutti che ancora oggi dobbiamo finire di cogliere
Voto pignolo:9 e 1/2
La gemma tra le gemme: Hotel Supramonte
Da qui cominciano gli anni 80 di Faber, un decennio di grandi cambiamenti sfruttato poco e benissimo dal nostro cantautore che nell'arco di quei 10 anni ha pubblicato solo 2 album. Il primo è questo Fabrizio De Andrè che conoscerete tutti come L'indiano, uscito nel 1981 in collaborazione con Massimo Bubola che aveva già collaborato a Rimini.Il concept che impermea il tutto è forse uno dei più interessanti:il rapporto tra gli indiani d'America e i Sardi, due popoli perseguitati e che hanno dovuto affrontare nel corso della storia molteplici difficoltà. L'incipit è affidata alla blueseggiante Quello che non ho, dove il materialismo della vita quotidiana non basta più, dove quello che non abbiamo non ci interessa più. Segue poi nel lato A un palleggio continuo tra America e Sardegna: si passa dai monti dove risiede un pastore selvaggio alle rive del Sand Creek appena saccheggiato dai conolizzatori per poi infine farci trascinare dalle note della tradizionale Deus ti salvet Maria. Sull'altro lato invece, posta all'inizio proprio, c'è un piccolo miracolo fatto a canzone:una canzone d'amore, di sofferenza, di tempo passato, di difficoltà e di attesa. Questa è Hotel Supramonte, racconto del rapimento che Faber e Dori Ghezzi subirono nel 79, superando un evento che fu uno shock emotivo per entrambi. E come Faber è riuscito a incastonare quel momento in una canzone così dolce è veramente dote rara. Restiamo un altro poco in Sardegna a goderci la storia di Franziska, ragazza con un bandito come fidanzato che non può essere sfiorata o guardata da nessuno. Segue un'altra canzone d'amore dove la banalità non vi trova posto già dal titolo, Se ti tagliassero a pezzetti, pezzo magico e assolutamente imperdibile e una chiusa assai bizzara, un simil-reggae che porta il nome di Verdi pascoli, un esperimento decisamente carino che chiude bene il disco. A livello lirico Faber non ha più nulla da dimostrare, rimane una penna unica nel nostro repertorio cantautorale. Quel che cambia in questo disco è la musica, che si fa più corposa, più varia e meno attaccata ai preconcetti cantautorali. Questo è un ottimo fattore, testimonia effettivamente che le intuizioni musicali di Rimini sono state assimilate. Ma nel futuro questo fattore esploderà letteralmente dando molti frutti che ancora oggi dobbiamo finire di cogliere
Voto pignolo:9 e 1/2
La gemma tra le gemme: Hotel Supramonte
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