Questo è sicuramente uno dei miei dischi preferiti. Adoro il viaggio, l'idea stessa di fare le valigie, mettersi in marcia verso una meta nuova mi rinvigorisce e rigenera. Purtroppo nella vita non ho potuto viaggiare quanto avrei voluto, anzi a dirla tutta sono riuscito a muovermi molto poco, almeno con il corpo. Se invece ci spostiamo su un lato più metafisico allora sono un vero e proprio vagabondo! Quando chiudo gli occhi posso vedere le strade di Roma perdersi nei vicoli stretti di Firenze mentre forze oscure mi trascinano ad Instanbul per poi lasciarmi in un teatro parigio a vedere un signore baffuto, dallo sguardo di chi la sa lunga, che racconta storie seduto ad un pianoforte nero e lucido come la notte.


Paolo Conte con il suo "Appunti di viaggio" mi ha toccato l'anima più di quanto avrei mai immaginato potesse succedere con un disco. Ricordo quando lo ascoltai la prima volta, affascinato com'ero da quella copertina magnifica avevo paura di restare in qualche maniera deluso, però in un certo senso sapevo che non poteva succedere. Dovevo assolutamente mettere su quell'album, dovevo assaporarlo e perdermi nelle sue melodie, così iniziai l'ascolto e mi ritrovai a compiere un viaggio incredibile. Quella voce, quel piano e perfino quello stramaledetto kazoo, tutto era perfetto, esattamente come doveva essere! "Fuga all'inglese" è un opener da manuale: un inizio lento, si stanno preparando i bagagli, poi via verso il viaggio vero e proprio, perchè "tanto di noi, si può fare senza. Chi vuoi, che noti mai, la nostra assenza". Ed io sono già via, lontano, fuori dal rumore, via dalle voci insulse che spesso tempestano le mie giornate. Non posso sentire nulla perché ora sto ballando con una splendida ragazza di cui non so il nome e non mi importa, posso vederla muoversi vicino a me, sentire l'aroma di mandarino che si sprigiona dalla sua pelle ad ogni movimento. Sono libero di andare ovunque, accodarmi ad uno zio che esiste solo nella mia testa e insieme a lui vedere "Shangai lungo i viali di Vienna" oppure aprire una pagina a caso di "Fiesta" e tuffarmici dentro per farmi parlare "Hemingway" direttamente sulla pelle.

L'avvocato d'Asti è questo per me, una via di fuga dalla realtà, un modo per placare i sensi di un uomo che vorrebbe continuare a correre fino a non sentire più le gambe. Con "Appunti di viaggio" ho trovato un piccolo tesoro, uno scrigno con otto gemme capaci di trascinarmi così lontano da risultarmi sempre più difficile, di volta in volta, ritornare.

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