Recensione uno.

Già è bellissimo esser qui nel 2008 e sentire ancora la sua voce.

Sempre più profonda, piacevolmente bevuta. Distaccata, goliardica, giocosa e circense.

Nebbioso, etereo, felliniano, "Psiche" è un disco quasi perfetto. Conte scrive e interpreta solo quando questo ha un senso. Come sempre mette dieci parole dove un Vecchioni cento e un Guccini mille, ricordandoci sempre d'essere un piemontese duro e puro, anche quando la Francia vorrebbe appropriarsene o il resto d'Italia vorrebbe semplicisticamente definirlo "nostro".

Ma lui è sempre lì, sempre piacevolmente uguale a sé stesso, con piccolissime ma piacevoli varianti. Ad esempio in alcuni brani si riaffaccia, dopo moltissimi anni, l'elettronica, e ci sta benissimo, mentre in altri si riconoscono i fidi musici e gli usati arrangiamenti cui ci ha abituati negli ultimi anni. Il tutto in un mix originale e piacevolissimo.

E, come sempre, Conte sa farci sognare, inventando personaggi, creando atmosfere, curando le musiche quanto i testi quanto la voce, compiendo un lavoro che è sempre tra il letterario, il cinematografico e la pura composizione musicale.

Paolo Conte è un personaggio unico. Ogni sua uscita musicale è un capitolo imperdibile. Un talento ed un'ispirazione che non accennano a diminuire, scemare o soltanto attenuarsi.

Insomma: l'ennesimo capolavoro ottobrino, perfetto per serate da camino, tra barbera e castagne, attendendo la "zona cotechino"col suo inverno dove, si sa, "è meglio".

 

Recensione due.

Già è bellissimo esser qui nel 2008 e sentire ancora la sua voce.

Ma al di là di questo, e del nostro inguaribile animo nostalgico vedo ben poco. Son passati tantissimi anni da quando mio padre, anche lui, come oggi io, avvocato baspiemontese, mi regalò un mondo, chiuso in quella cassettina strana, dal titolo strano, quel "gelato al limon" che compositivamente segnerà tutta la mia vita, i miei pensieri, il mio sentirmi parte -nel mio piccolissimo- del mondo giuridico/musicale piemontese.

Però diciamocelo chiaro: al di là dell'amore personale Paolo Conte ha perso, e non da oggi, l'ispirazione. Da quel colpo di genio assoluto (testamento spirituale della miglior ispirazione?) che fu "Aguaplano", Conte ci ha abituati a prodotti di livello altissimo, scritti e concepiti benissimo, ma senza più l'aureo dono dell'illuminazione divina. Qui non si fa eccezione. Ci sono arrangiamenti acustico/elettronici, onirici, come già in "Sparring Partner" o come in "Parole D'Amore Scritte A Macchina", c'è il "circo" e l'America/Francia Bechetiana da sax soprano che c'è, ad esempio ma non solo, in "Novecento". C'è sempre tanto tanto cinema. Ci sono più d'una autocitazione non so quanto consapevoli e volontarie (insomma: citazioni o mancanza d'ispirazione musicale?). Insomma, un prodotto nuovo che suona come una raccolta di successi, un po' come "Nuvole" di De Andrè, disco eccelso (come questo) ma non baciato dalla Dea dell'Originalità.

Qui c'è Paolo Conte in tutta la sua assoluta e indiscutibile grandezza.

Ma il Conte che si scansava davanti ad Atahualpa, o a qualche altro Dio, era ben altra cosa.

 

Come vedete, sul mio bi-collega ed eterno maestro non so mai esser d'accordo con me stesso, pur sapendo d'amarlo come si potrebbe amare il migliore degli zii, il più luminoso degli oracoli, il più inarrivabile degli esempi.

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