Convinto fautore di un rinnovamento costante che attinga a tutto campo e senza pregiudizi dalla storia musicale dell'uomo, Paolo Di Cioccio nel 2002 produsse un disco basato sull'uso del theremin e lo pubblicò mescolando i sentori espressionisti delle prime metropoli agli echi ancestrali del Cosmo. Questo per dire che stiamo parlando non di un vecchio vinile di fischi microtonali registrati a Cinecittà all'epoca del Neorealismo, ma di un'opera composita e complessa che attorno al suono inequivocabile del theremin costruisce un percorso evocativo e sperimentale.

Docente di conservatorio in oboe, Di Cioccio inserisce nelle cospicue note di copertina del suo album riflessioni e proclami, di testa e di pancia, motivando il progetto in modo personale e coraggioso. Di un lavoro sicuramente non speculativo si tratta, benché lo strumento al centro di questo recital sia tornato agli onori delle cronache e di moda negli ultimi anni. Lungi dal volerci mostrare qualcosa di talentuoso o di virtuoso nell'approccio con l'antenna musicale, il maestro ci accompagna in un labirinto ora surreale ora sinistro di architetture sonore che scaturiscono da varie apparecchiature più o meno desuete; elaborando anche il suono del suo oboe e filtrando senza mezzi termini la sua mistura vibrazionale.

Dalla fantasmagorica "Elettropolis" che apre il disco, passando per un omaggio a Marinetti ed uno a Faust, Di Cioccio approda poi al "Mistero Aerofonico" e conclude con "Aqua", degno titolo di un brano in cui il vecchio theremin sposa le asimmetrie dell'elettronica più moderna. Un ascolto non facile e non certo immediato: ma lo sforzo di concentrarsi fino all'abbandono estatico viene ripagato da sentori che spesso la musica di matrice ambient non riesce a dare.

Copertina arricchita dai profili urbani dei quadri di Tonino Caputo. Dedica sentita a Franco Evangelisti, progenitore delle avanguardie musicali europee, membro del Darmstadt, grande improvvisatore. 

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