La fica, il sesso, i corpi nudi, i seni e i capezzoli, la bramosia di ottenere molto denaro come per grazia ricevuta, da un politico arrapato e ingenuo, oppure, sogno dei sogni, da lui. Il nome di Silvio Berlusconi non viene mai citato in questo film: lui, il presidente, dottore. Ma c'è tutto un microcosmo di donne e ragazze avvenenti, di tirapiedi più o meno servili, di sudditi politici e arrampicatori che gravitano intorno alla sua figura, quasi mitologica.

Fin dal titolo, e dalla prima ora abbondante di pellicola, l'autore mette in primo piano questa “fauna”, come direbbe Jep, che non ha una dignità da perdere, che spera in uno sguardo, anche solo di pochi secondi, da parte dell'inarrivabile presidente. La depravazione morale de La grande bellezza appare allora quasi inoffensiva, ingenua, rispetto a quanto siamo andati oltre nel mondo di Sergio Morra, Kira e tutti gli altri. Sesso, droga, opportunismo, l'anima surgelata e messa a tacere. È una società che non ha alcun appiglio valoriale, ma (a differenza dei salotti frequentati da Gambardella) non ha nemmeno la capacità mentale e la forza culturale per rendersene conto. Non uomini colti e decaduti, ma piccoli vermi, formichine che si arrabattano in ogni modo per arrivare a lui.

Argomenti frequentati spesso negli ultimi anni di cinema e televisione italiana, ma mai con la disarmante lucidità di Sorrentino, che elimina qualsiasi diaframma moralistico ed entra profondamente nelle cose, lasciando che siano i personaggi stessi a definirsi. Lo sguardo registico riesce a stare in miracoloso equilibrio tra il versante tragico e quello grottesco, da farsa. Nel senso che le storie di questi umili che strisciano non vengono liquidate perché immorali: vengono narrate con precisione e approfondimento, senza mai ergersi a giudici che condannano. Sono uomini e donne veri, con sentimenti, famiglie, storie, percorsi anche sofferti. Il loro spudorato opportunismo non li rende passibili di giudizi sommari.

Eppure, la loro condizione tragicomica emerge inevitabilmente. Malgrado la cura maniacale della narrazione, malgrado l'assenza di pregiudizi. Dopo circa un'ora di film passata a muoversi nei bassifondi, lentamente l'occhio del regista si allontana e ritrae questa marmaglia di troie e puttanieri un po' più da lontano, nella loro miseria estrema, mentre fanno festa davanti alla villa di Silvio in Sardegna, sperando di essere notati. Un intreccio di carne lussuriosa, bellissima, lucida e tornita, ma a quel punto orribile e infima agli occhi dello spettatore che ne ha misurato con precisione le miserie.

E poi compare lui. Ed è straniante vedere un personaggio così sovraesposto e onnipresente nella sua versione filmica. Sembra impossibile dire qualcosa di interessante su un uomo così scandagliato da giornali e televisioni. Invece Sorrentino trova la via, a metà tra la maschera di gomma con sorriso a trentadue denti e l'animula sperduta nella sua noia estrema. Nel suo ego ipertrofico, come una piovra dagli innumerevoli tentacoli, quello che emerge è un uomo che cammina a un altro passo rispetto agli altri, anche alla moglie Veronica; ironico, saggio, geniale, spietato quando serve, autenticamente falso, innamorato ma arrapato e libertino, buffonesco e ieratico, completamente solo e costantemente circondato da cortigiani. Per lui non conta davvero la verità, ma solo la capacità di essere convincente in quello che dice.

Nella prima parte il personaggio viene solo introdotto, ma ciò che si può già apprezzare è il fatto che sia il popolo a cercare di avvicinarlo, sono le donne a volerselo portare a letto, più che il contrario. La sua figura è troppo grande, troppo luminosa per questa gente, e quindi anche lui in un certo senso ne diviene vittima. Ovvio, è un uomo che agisce e compie azioni più o meno buone, ma credo che Sorrentino abbia voluto illuminare questo aspetto. Il film parla di “loro”, molto più che di “lui”.

Sono diverse le trovate strambe, nella migliore tradizione del regista. C'è Dio, l'uomo che nessuno sa chi sia, e una galleria di personaggi meravigliosamente in bilico tra farsa e serietà estrema, puramente tragica. È quella tragedia di chi ha tutto e non ha niente, come lo stesso Silvio. Una reggia, gioielli, yacht, cibi prelibati. E alla fine ci si ritrova comunque senza niente, annichiliti, e si può solo cercare di affogare questa amarezza nella lussuria, nei piaceri sfrenati della carne. Credo che questo si vedrà molto bene nella seconda parte, ma questa prima pone delle ottime premesse.

E le donne non sono mai state così spregiudicate, ricattatrici, troie. Sono donne che sanno di esserlo e lo fanno volutamente, al puro fine di trarne profitto. Dall'albanese, bellissima e severa, alla studentessa quasi ingenua, non c'è in loro nemmeno un dubbio sulla moralità delle loro azioni. Scontato individuarci riferimenti agli scandali degli ultimi mesi nel mondo del cinema. Sorrentino ci va giù pesante, mettendo sotto i riflettori uomini bavosi, dei tredicenni allupati, e donne senza scrupoli, delle veneri con il cuore marcio.

7/10

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