«Non ti riveli mai». Uno, nessuno e centomila Silvio Berlusconi, già intravisti nella prima parte, emergono più nitidi e si moltiplicano nella seconda, che non vanifica le premesse, esplodendo in un caleidoscopio di immagini un po' surreali, dialoghi illuminanti o farseschi, e personaggi che arrivano a definirsi in modo più nitido, tranne ovviamente l'inafferrabile protagonista.

Non si raggiungono certi picchi della filmografia sorrentiniana, ma questo sforzo creativo va ammirato perché dialoga costantemente con fatti e figure della storia italiana recente, rischiando moltissimo e non sbagliando quasi nulla. Il cineasta si muove con grande finezza tra le molteplici personalità e i molteplici mondi di Silvio. Tutto si tiene, pur contraddittoriamente, e dà forma a una figura proteiforme, tentacolare, troppo grande (e troppo infima, volendo, abissale) per potersi confrontare con gli altri personaggi. Silvio non è un personaggio di questo film, ma almeno quattro o cinque. Il piazzista, venditore geniale e solo, il festaiolo che ama cantare brani popolari, il politico inarrestabile, il vanitoso egocentrico, l'uomo che fa quasi il galante con ragazze discinte che ballano nella sua villa, l'occhio che osserva e capta ogni cosa, il marito deluso da una moglie che s'è avvitata su se stessa, il miliardario annoiato e servito. Tra questi diversi feudi, si alzano muri invisibili, sorvegliati a cavallo da un uomo con abiti e cappello bianco.

Questa molteplicità è esplorata perfettamente, ma avvicinandosi alla fine il giudizio emerge un po' troppo nitido. Veronica traccia un quadro desolante, che non credo coincida al cento per cento con quello de regista, ma non può nemmeno esserne troppo distante. Sorrentino non giudica, quello mai. Traccia situazioni e mette in luce lati caratteriali, che poi si mescolano tra di loro, per arrivare a un rompicapo che solo lo spettatore può scegliere di interpretare e in quale modo. Le parole della moglie sono pesanti, ma Silvio risponde, inchioda le contraddizioni, i limiti e i capricci della donna. Lui ha sempre una risposta, un'angolazione diversa da cui guardare le cose. Non si offende mai, ma di fronte a una moglie avvelenata, allora contrattacca. Pacatamente.

Un elemento di forza è dato dalla galleria di personaggi, che si arricchisce molto, con figure che richiamano i grandi fedelissimi del Cav. Da Doris a Confalonieri, da Apicella a Bongiorno. Ognuno dà un'interpretazione o illumina diversamente la gigantesca figura centrale. Che qui forse va anche oltre l'uomo reale, diventa una versione artisticamente più alta, come è giusto che sia. Questa non è una cronaca esatta della vita di B., ma una rielaborazione libera.

E Servillo si lascia un po' andare quando con una telefonata casuale vende una villa che non esiste a una donna che non conosce. È un virtuosismo tipico dell'attore, che infatti nella foga cambia timbro e riprende un po' l'inflessione partenopea. Il suo Silvio è forse troppo frizzante e leggero nel tono della voce. Questo è coerente con la visione di un uomo che non può essere scalfito, che non muore mai, che ride per ogni cosa, superandola e facendo spallucce, che va alla festa di una neo diciottenne invece di presentarsi all'Onu, che pensa più al vulcano in giardino che all'Italia terremotata. Una voce più cupa avrebbe reso ancor più stridente il contrasto.

Il popolo di formichine, i “loro” del titolo, viene ridimensionato, in coerenza con il valore che Silvio può dargli. Non sono niente, non c'è ferocia nella lussuria di Silvio, ma solo il gusto ludico di un uomo terrorizzato dalla solitudine. Un uomo che ha tutto, o quasi, e vuole quel poco che non può avere. Un nuovo governo, una ragazzina dalla pelle di porcellana. Fa poca differenza, l'importante è avere successo, vendere, vendersi e poi comprare tutto, non necessariamente coi soldi.

E in questo, B. è al contempo carnefice e vittima, quasi ingenuamente, autenticamente. Quando si annoia, non c'è tentazione che tenga, nemmeno le grazie della bellissima Kira. Ma poi riparte, sempre energico e propositivo, attento ai consigli eppure capace di andare sempre oltre, liquidando in due battute persino Mike. Non se ne ritrae tanto il declino, quanto la irrisolvibile contraddittorietà, e l'inesauribile potere, anche di fronte agli scandali. Il dramma non può vincerlo, perché lui guarda avanti sempre. Quello che dice, che finge di chiedere, è legge per i vermiciattoli che gli strisciano dietro. Sono loro i veri meschini, quelli che si credono più furbi. Silvio è autenticamente mostruoso.

Un film che scorre veloce, che fa ridere e presenta continuamente situazioni al limite del surreale, caricando il lato farsesco, eppure scandagliando quasi filosoficamente il significato "ontologico" di un essere umano così particolare. Una scrittura ispirata ed esatta si accompagna a immagini che non toccano le vette del passato, ma aggiungono comunque parecchi elementi alla costruzione narrativa. In alcuni passaggi il surreale si fa potente, come nei finti trailer di film con attrici raccomandante e incapaci. Ma c'è anche austerità, nei dialoghi appuntiti con Veronica, e nel finale, nerissimo, di un Cristo prelevato da una chiesa distrutta, all'Aquila, nella notte più buia. E lui, che aziona il vulcano in giardino.

7.5/10

Carico i commenti... con calma