Patti Smith scatena in me una gran quantità di emozioni e ricordi. E non si tratta solo di musica o solo di poesia, né del loro favoloso corpo a corpo. C'è ben altro.

Il modo in cui si raccontava ad esempio. E il modo in cui ancor oggi si racconta.

Difficile, infatti, leggere qualcosa di suo (oggi i memoir, ieri le interviste) senza rimanere affascinati da quella clamorosa arte affabulatoria.

Facciamo allora che pesco a caso e facciamo che trovo, che so, il suo essere stata l'unica bambina in una gang di maschi visto che tutti, ma proprio tutti, la credevano un maschio...

Oppure le commedie inventate per i fratelli come in “Piccole donne” di Mary Jo Alcott...

O la Callas ascoltata a quaranta di febbre...

E, ovviamente, l'incendio del granaio con la sorellina che splendeva tra le sue braccia come una piccola bambola fosforescente...

Potrei andare avanti all'infinito, ma forse è il caso che la finisca qui.

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Oppure no, non finisco e vi faccio fare una addizione semplice semplice.

Sommate, vi prego, lo stato allucinatorio causato da una grave malattia infantile e le mutandine bagnate di quella volta che vide gli Stones alla tv...si si, sommate..

E avrete in questo modo la più perfetta descrizione della sua musica.

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E poi quell'aspetto da sorellina Ramone diventata chissà come vamp. Quell'aria tra brutto anatroccolo e piccola fiammiferaia, con l'ultimo fiammifero che non si spegne mai.

Senza dimenticare la ragazza con la pistola (che poi però era un fucile).“Patty, lo sai cosa ha detto tuo padre? Oh, ha detto...ha detto era così carina un po' di tempo fa e adesso eccola li con un pistola in mano”

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E i nomi scintillanti e magici che sussurrava alle nostre orecchie: Coltrane, Rimbaud, Pollock, Brancusi, Pasolini, Blake.

E Modigliani di cui, a quanto pare, era l'amante cosmica. Che se non puoi far altro che sognare tanto vale sognare in grande,.

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Ecco, io da ragazzo ero un tipo un po' così. E, come avrete capito, pure Patti non scherzava. Il due più due fatelo voi, ma mi son spiegato, credo.

Tipo: mica potevo identificarmi con Bowie. Che, si, aveva scritto l'inno degli sfigati ma era...era bellissimo, E questo non è un particolare di poco conto.

Ve la ricordate “Rock'n'roll suicide, vero? Quella roba tipo “avete la testa tutta ingarbugliata” “tanti coltelli sembrano lacerarvi il cervello” “ma adesso ci son qua io, l'alieno” Ah, lo so è una delle canzoni più belle di tutti i tempi.

Ma io avevo bisogno di una sfigata, una sfigata vera...

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“Non ero che una sfigata pelle e ossa”

Guardatela allora la sfigata pelle e ossa nello splendido bianco e nero della copertina di “Horses”, col cravattino alla Baudelaire e la posa alla Sinatra.

Guardatela...

Che ancor prima dell'idea del riportare in alto il vessillo del rock'n'roll, ancor prima delle parole accese... ancor prima dell'arroganza, dell'energia, del fervore...

Ancor prima di tutto questo, e di qualsiasi cosa possa venirvi in mente, c'era quella foto. E con quella foto ho cominciato a diventare splendido pure io...

Altro che Bowie...

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E comunque, avete presente quando siete depressi e dovete per forza appigliarvi a qualcosa? Ecco, quando capita a me, il mio appiglio è la Patti.

E allora prendo la biografia, leggo le prime venti/trenta pagine (che conosco a memoria) e, giuro, mi sento meglio.

Oppure la ascolto, solitamente scegliendo “Horses” accontentandomi anche solo del favoloso un due tre iniziale:

Uno: “Gloria”, iper cover dell'iper classico garage/beat.

Due “Redondo Beach” il più bel reggae bianco di sempre.

Tre:“Birdland” una strana specie di lounge schizzata che si accompagna dapprima a un racconto magico e notturno, poi, impazzendo sempre di più, diviene l'abito più perfetto per la deriva e il delirio.

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Dio, quanto la amavo a sedici anni!!! E come la difendevo, specie nel periodo pre e post concerto del 79...

Che nel 79 ci furono strane premesse...

L'orda dolcissima degli sfigati romantici a mandar baci e gettar fiori, L'assalto dei giornalisti, che, in fondo, era il primo concerto davvero importante dopo anni di black out.

E, soprattutto, tutti quei fanatici a chiedere udienza per firmare questo o quell'appello. Ma lei che poteva mai saperne delle nostre beghe condominiali? Semmai conosceva Michelangelo o le madonne del senese, oppure Pasolini anche se non certo come pensatore marxista.

Così a tutte quelle improbabili richieste si limitava a rispondere, schernendosi: “sono solo un'artista americana”.

Apriti cielo!!!

Dove era finita la ribelle che in “Radio Ethiopia” inneggiava all'anarchia e in “Rock'n'roll nigger” proclamava che il suo posto era fuori dalla società?

Insomma tanta tanta fatica a togliersi gli occhiali ideologici.

E il sedicenne luludia a gridare “ma lei è una poetessa, cazzo!!!”

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“Lei è una poetessa, cazzo!!!”

“E come cavolo fai a saperlo se manco sai l'inglese?”

Già, come facevo a saperlo?

Per via di una voce sgraziata (rospo, usignolo, leonessa, bambina, mostro) in grado di arrivare ovunque. Di un suono selvaggio del tutto degno delle mutandine bagnate di un tempo. Di ballate dal fervore quasi gospel.

Ma soprattutto c'era qualcosa di torrenziale (singhiozzante, isterico, visionario). Qualcosa che dava l'impressione di sgorgare follemente libero, sostenuto (anzi pompato) da una specie di sfacciataggine molto, molto rock'n'roll.

Oh, non poteva essere altro che poesia. E, in fondo, non c'era nemmeno bisogno di traduzione.

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Patti Smith nasce grande.

“Hey Joe”/”Piss factory”, il primo quarantacinque, è già un piccolo capolavoro, opera di un'artista perfettamente padrona del suo stile e con un obiettivo molto molto chiaro: ridare energia al rock dei sixties e farne un ponte verso il nuovo.

Obiettivo magnificamente esemplificato dalla scelta, assai coraggiosa, di prendere un classico (e che classico!!!) e di stravolgerlo a un doppio (se non triplo) livello.

Non solo infatti il brano suona diversissimo rispetto alla celeberrima versione di Hendrix, ma, con un autentico colpo di genio, anche il testo viene modificato/allungato con i versi della Smith a creare un meraviglioso ibrido .

Ma non finisce qui, che nell'antico immaginario blues di “Hey Joe” viene inserito un riferimento alla cronaca di quei giorni. Così a essere apparentata all'uomo in fuga verso il Messico e , in un certo senso a rubargli la scena, è la ragazza più famosa del 74, ovvero Patty Hearst.

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La Hearst, rampolla di una delle più importanti famiglie d'America, fu rapita dall'esercito di liberazione simbionese. uno scalcagnato, anzi scalcagnatissimo, gruppo di terroristi fino ad allora assolutamente sconosciuto.

Dopo che la famiglia ebbe pagato, sia pure in minima parte, la cifra richiesta la ragazza, anziché tornare a casa, si unì al gruppo divenendo terrorista a sua volta.

La foto dove posava, armata di carabina M1, accanto al simbolo del gruppo (un aquila stilizzata a otto teste), fece il giro del mondo e divenne, grazie alla sua forza iconica, un grandioso simbolo di determinazione e di rivolta.

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Il brano comincia con il meraviglioso spoken word della Patti che subito omaggia Hendrix (“il modo in cui suoni la chitarra mi fa sentire...mi fa sentire...mi fa sentire...così...così...”)

Poi, in pochi tratti, la figura della Hearst, .la voce un sussurro affrettato, quasi di corsa, con, qua e la , un appena appena di percussivo grattugiamento di chitarra.

“Patty, lo sai cosa ha detto tuo padre? Oh, ha detto...ha detto era così carina un po' di tempo fa e adesso eccola li con un pistola in mano”

Ed ecco il primo raccordo, “a gun in her hand”...

Che quando “Hey Joe” parte davvero “The gun in her hand” diventa “that gun in your hand”...

“Hey Joe, where you going with that gun in your hand”

Con le note di piano di Richard Sohl a introdurre, poi ad accompagnare, con malinconica solennità, quella voce che sembra che preghi. E' la prima ballad della Smith, ma le migliori saranno tutte così, qualcosa della notte, qualcosa del gospel.

Il piano domina per un po', poi le chitarre e via via, una specie di caos, con Patti che cresce, cresce...

Cresce....

“E me ne andrò in Messico dove un uomo può essere libero”, Altro raccordo, che adesso è Patty Hearst a parlare: “L'FBI mi cerca, ma non mi troveranno mai...mi dispiace ma non sono più la piccola ragazza ricca e carina...e mi sento così libera....così libera...”

Si finisce quasi in apnea...

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Poi c'è “Piss factory”, favoloso resoconto della sua vita in fabbrica scritto in un eccitante lirismo da strada.

Registrata in fretta e furia e musicalmente meno a fuoco rispetto a “Hey Joe” è però una poesia della madonna, meravigliosamente sporca, meravigliosamente accesa.

Un lavoro di merda in un posto di merda. “Ma prenderò quel treno e diventerò una grande stella”

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“Hey Joe”/”Piss factory” è quindi un grandioso dittico sul tema della fuga. Joe probabilmente il Messico non lo raggiungerà. La Hearst di sicuro sarà catturata dall'FBI...Ma la sfigata pelle e ossa quel treno l'ha preso ed è diventata davvero una stella..

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